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Atp Cincinnati: il coraggio di Crilin-Ferrer contro la tirannia di Federer il Sayan

TENNIS – CINCINNATI – DI LUIGI ANSALONI – Sedici confronti diretti tra Federer e Ferrer, sedici vittorie per lo svizzero. Una sfida impari, un confronto – quasi – tra un umano ed una divinità. Un po’ come in Dragon Ball, dove Ferrer è interpretato magistralmente da Crilin, l’amico pelato di Goku.

Non ci soffermeremo, una volta tanto, a parlare di Federer. Sinceramente, che bisogno c’è? Palesemente si tratta di un iniziato, di un eletto, di uno dei due-tre più grandi giocatori di ogni epoca. Ottanta tornei vinti, 22 Masters 1000, e non andiamo avanti col palmares e coi numeri perché il tempo è quello che è. Uno che fa queste robe a 33 anni suonati, con 4 figli e due bambini appena nati, sinceramente, merita un silenzio sacrale, un’ammirazione infinita e tanti grazie da parte di tutti noi.

Piuttosto, chi vi scrive non è mai stato un fan di Ferrer, proprio no. Senza motivi apparenti, chiariamo. Non è uno antipatico, anzi. Forse perché la storia del volenteroso, del giocatore senza mezzi che fa i miracoli, di quello che dalle poche risorse che madre natura gli ha donato è riuscito a fare un qualcosa di straordinario e così via, un po’ ha stancato. Lo spagnolo è uno che il talento ce l’ha: va bene la dedizione e quello che volete, ma quanti giocatori si impegnano come e più di lui e intanto rimangono nell’anonimato? Ferrer è uno che è arrivato ad essere numero 3 del mondo, ha fatto semifinali e finali slam, che ha vinto dei 1000, che da anni partecipa al Masters di fine anno. Però, detto questo, stasera chi vi scrive lo ha, forse per la prima volta in vita sua, ammirato. Sul serio, senza ironia o altro.

 Quella di Ferrer è la storia della ragione che si inchina alla logica, senza se e senza ma. E’ il finale di un film che deve finire esattamente in quel modo, senza alcun volo pindarico. David nella finale di Cincinnati è stata la naturale evoluzione di un, che so, Rocky Balboa senza la sua (a volte stucchevole) morale. Nel quarto capitolo della saga cinematografica di pugilato più famoso della storia, il manager (chiamiamolo così) di Ivan Drago, guardando Rocky, dice che “è fisicamente impossibile che quel piccolo uomo possa vincere contro il nostro campione”. Adesso, nella realtà, nulla da obiettare. Poi come sappiamo nel film è andata in tutt’altra maniera e Lo Stallone Italiano ha finito nel trionfare. Finzione, appunto. Per buttarla sui cartoni animati, su Dragon Ball, Ferrer sembra Crilin, l’amico pelato di Goku. E’ un essere umano, il più forte degli essere umani. Imbattibile. Tra gli umani. Ma la sua potenza, in confronto al suo amicone Goku, nato dalla stirpe dei guerrieri Sayan, non è nulla. Perchè? Perchè Goku era un eletto, Crilin è solo uno come tanti.

 Federer-Ferrer è andata invece come doveva andare. Da una parte c’era un Dio, dall’altra parte un “semplice” essere umano. Da una parte c’era uno a cui è stato donato un evidente e sovrumano bagaglio tecnico pressocchè infinito, dall’altra c’era uno che nonostante tutto, nonostante tutto ripeto, ci ha provato. Ma non ci è riuscito. Vedere in campo questi due in una finale ha ricordato quanto la vita, il destino e così via, sia tutto fuorchè democratico. E’ una specie di tiranno che fa quello che gli pare. Un giocatore, Federer, dalle migliaia di soluzioni possibili e immaginabili, e un altro che sa fare 10 cose, ma le sa fare straordinariamente bene. Ma se il toccato dagli Dei spegne la luce per un po’ di tempo e riduce le soluzioni a 5-6, di cui 3 sbagliate, allora la storia cambia. Purtroppo per l’umano, non è sempre Natale (nel suo caso, in questo caso, non lo è davvero mai), e se il Dio decide di giocare e di aumentare le soluzioni a 20, comunque penosamente al di sotto della sua portata, il terzo set finisce 6-2 senza colpo ferire.

 In un certo senso è stata affascinante, questa sfida. E per la prima volta, chi vi scrive ha trovato lo stesso Ferrer, affascinante. Teneramente affascinante, forse, anche perversamente. Ma per una sera, per un paio d’ore, non è stato poi neanche tanto male. Pacca sulle spalle, parole di circostanza. E’ stato bello, complimenti. Sarai più fortunato.

Luigi Ansaloni

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