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Wimbledon: la vittoria va a Djokovic, il nostro grazie a Federer

Dall’inviato a Londra, Luigi Ansaloni

Novak Djokovic ha vinto il torneo di Wimbledon 2014 battendo in finale Roger Federer in cinque set: 6-7 6-4 7-6 5-7 6- 4 in 3 ore 3 56 minuti di gioco. Con questo successo il tennista serbo ritorna numero uno del mondo scalzando dal trono lo spagnolo Rafael Nadal. Per Djokovic si tratta del settimo successo in un torneo dello slam, il secondo a Wimbledon dopo l’affermazione del 2011, quando aveva battuto in finale Nadal. Niente da fare per Roger Federer, che sperava di conquistare il suo ottavo Wimbledon e il diciottesimo slam della carriera. Lo svizzero, che domani sarà il nuovo numero tre del mondo, non vince un torneo dello slam proprio da Wimbledon, 2012, quando battè in finale Andy Murray.

 

La favola di Roger Federer a Wimbledon 2014 forse meritava un finale diverso, con la coppa d’oro alzata in cielo per l’ottava volta, ma la partita di oggi ha scritto giustamente delle parole e un risultato diverso nel grande racconto di questi Championships.  Nonostante tutto, e senza alcun dubbio, Federer oggi ha scritto e riscritto, ancora una volta, per quanto possibile, il concetto stesso di leggenda. Ha perso, ha anche meritato di perdere in certi casi, ma dal 2-5 del quarto set questa finale ha finito per essere una partita ed è diventata una sorta di questione epica tra Federer e non tanto Djokovic, ma tra Federer e se stesso. Sembrava il tenente Dunn in Forrest Gump, quando in mezzo alla tempesta parlava con Dio e diceva che questa era una resa dei conti tra i due.  A quasi 33 anni e dopo 3 ore e 10 minuti di partita è riuscito a recuperare sul 2-5 al quarto set e infilare cinque game di fila e a portarselo a casa, quel set. Con il massimo orgoglio possibile e immaginabile, con ogni cosa che aveva nel suo corpo, Federer è riuscito a portare il tutto al quinto set. E ha avuto pure un break point per mettere la testa avanti, ma francamente forse sarebbe stato un po’ troppo. Sotto qualsiasi punto. Perché sì ad un certo punto la ragione chiede il conto e devi pagare, anche se non hai denaro con te.

Ha vinto il più forte in questa finale, Novak Djokovic, ha vinto chi lo ha meritato. Poche, pochissime volte il serbo, nuovo numero uno del mondo, aveva giocato così bene tra i prati inglesi. Irriconoscibile (in positivo) rispetto a due giorni fa, quando aveva davvero rischiato tantissimo contro Grigor Dimitrov in semifinale. Djokovic ha semplicemente alzato il suo livello di gioco in maniera incredibile, disputando una partita perfetta, impeccabile. Non c’è stato neppure un calo di concentrazione, uno di quei cali che probabilmente gli erano costati qualche finale slam di troppo, visto che Nole non vinceva un major dall’Australian Open del 2013, perdendo tre finali di fila. Il serbo non solo ha fatto quello che doveva fare, ma anche di più. E’ un campione degnissimo di questo torneo, di questo bel torneo. Che ci ha fatto sognare, che ci ha fatto divertire. La vittoria di Djokovic, che era la testa di serie, è stata la linea di pensiero della ragione che non lascia spazio all’immaginazione e che non lascia spazio all’incredibile, ma non per questo meno bella o meno meritata. Sche

 Detto questo, chi racconta le cose deve sì essere obiettivo per quanto più possibile, ma deve anche essere un pizzico sincero. E detto sinceramente (appunto) davvero poche persone qui, a Londra, sul Centrale, a Wimbledon, in mezzo a questi verdi prati, volevano questo finale per questo film. Immaginavo un papà di quattro figli dai capelli sempre perfetti, con la sua tuta bianca, alzare questa coppa d’oro che sta a pochi metri di distanza da questi tasti. Anche perché, e qui c’entra sempre la ragione, poteva essere l’ultima grande impresa di un ragazzo che non vuole proprio smettere di lottare, di rialzarsi, di sognare e farci sognare. Dunque, senza rancore: bravo, bravissimo, chapeu Nole, ma grazie Roger.

Luigi Ansaloni

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Luigi Ansaloni

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