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Novak Djokovic, il gigante che non si è mai arreso

TENNIS – WIMBLEDON – DI SALVATORE DE SIMONE – Novak Djokovic nella finale vinta contro Roger Federer ha dimostrato di essere un fuoriclasse. Senza se e senza ma. Perché solo un campione assoluto avrebbe potuto aggiudicarsi una partita come quella di ieri a Wimbledon. Per Nole la finale londinese poteva tramutarsi nella classica partita ammazza carriera.

Novak Djokovic nella finale vinta contro Roger Federer ha dimostrato di essere un fuoriclasse. Senza se e senza ma. Perché solo un campione assoluto avrebbe potuto aggiudicarsi una partita come quella di ieri a Wimbledon. La pressione per il serbo era enorme, molto più di quella che pesava sulle spalle di Federer. Per Nole la finale londinese poteva tramutarsi nella classica partita ammazza carriera, una discesa all’inferno dal quale le stelle sarebbero state difficilmente vedibili. Negli ultimi anni il tennista di Belgrado non era riuscito a conquistare nessuno Slam che non fosse l’Australian Open, perdendo finali contro Murray e Nadal, di cui tre consecutive contro lo spagnolo. L’ultima a Parigi era stata la più dolorosa, tanto che Nole scoppiò in lacrime, come mai aveva fatto dopo una sconfitta.

Un mese dopo ha dovuto affrontare nell’ultimo atto del più prestigioso torneo l’altro grande rivale, che nel tempio di Londra ha la sua casa. In un match stupefacente, il serbo si è trovato a un passo dalla vittoria nel quarto set, ma la tenacia e la classe dell’eterno svizzero gli hanno spalancato davanti la porta di un incubo che negli ultimi tempi era diventato ricorrente, quello della sconfitta nel grande appuntamento. Chissà cosa avrà pensato Djokovic all’inizio del quinto set; forse avrà immaginato un rinfocolarsi di tutte le critiche e i dubbi riversatisi su di lui in quest’ultimo periodo, cioè di essere un perdente, un campione a metà che nel magico anno 2011 era stato un po’ fortunato, un tennista talmente in confusione da scegliere il coach sbagliato nella persona dell’ex campione Boris Becker e così via. Come ha detto lui stesso dopo il trionfo, Djokovic ha dovuto battere, oltre che a un Federer commovente, anche se stesso e i suoi fantasmi, gli avversari più difficili. E li ha battuti alla grande, riuscendo a portare a casa quella che il serbo stesso ha definito la migliore finale a cui ha partecipato, come solo un grande campione poteva fare, spazzando via tutte le paure che lo attanagliavano. Nonostante Federer gli avesse annullato un match point con un ace e una delicatissima palla break sul 4-3 nel parziale decisivo con una demivolee pazzesca (e sulla seconda di servizio!), Nole non ha perso la calma ed è stato capace di vincere alla fine il match, scoppiando anche stavolta in lacrime, però di gioia.

Adesso è di nuovo numero uno e la sua stagione può prendere una piega molto positiva, dato che tra un po’ inizia la stagione americana sull’amato cemento in cui il serbo sarà senz’altro l’uomo da battere, grazie anche alla carica di fiducia dovuta alla vittoria londinese. Nei prossimi mesi Djokovic tenterà di incrementare il suo palmares, ma soprattutto continuerà la sua lotta per avere anche lui un posto nell’Olimpo del tennis al pari degli eterni rivali Federer e Nadal, una meta che lui non ha mai fatto mistero di voler raggiungere, fin da quando si è affacciato sul circuito. Djokovic da sempre gioca sotto il peso di una terribile spada di Damocle per un atleta del suo stampo: quello di essere il terzo incomodo tra due tennisti, Nadal e Federer, che sono considerati quasi delle divinità dai rispettivi tifosi e anche dagli addetti al lavoro. Il serbo non ha mai ricevuto la stessa attenzione riservata al rossocrociato e all’iberico, nonostante abbia anche lui già fatto la storia delle racchette; ha realizzato qualche record, ha disputato sfide memorabili, molte delle quali proprio contro Rafa e Roger: senza contare quella di ieri, basti pensare al match di sei ore in Australia vinto contro Nadal nel 2012, la più lunga finale mai giocata in un torneo del Grande Slam. Già in passato era stato numero uno ed è ritornato ad esserlo grazie al suo secondo trionfo sui prati londinesi. Ha vinto quasi tutto quello che c’è da vincere e da anni è un protagonista nei tornei importanti. Eppure, qualsiasi cosa faccia o qualunque competizione vinca, Djokovic è condannato a non ricevere lo stesso amore, a suscitare la stessa passione, a infuocare gli stessi dibattiti che invece si scatenano quando ci sono di mezzo Federer e Nadal. In questa sede non si vuole stabilire se ciò sia giusto o sbagliato: è un fatto di cui d’altronde lo stesso tennista di Belgrado è pienamente consapevole, ma al quale Nole si è sempre ribellato, lottando fin dall’inizio contro questo stato di cose; fin da quando ha cominciato a vincere nel 2007, in un momento in cui gli Slam e i Masters 1000 erano una faccenda tra lo spagnolo e lo svizzero.

Il serbo, durante la finale di ieri, dopo che aveva fatto un gran punto in un momento delicato del match nel quinto set, si è rivolto con i gesti al pubblico, che tifava totalmente per Federer, chiedendo un applauso come se volesse dire: “Avanti, lo so che volete vinca lui; lo vorrei pure io se fossi spettatore. Ma qui ci sono anch’io e ho diritto di essere riconosciuto per il fuoriclasse che sono”. Gli spettatori dopo la cerimonia, pur tributando un più caloroso saluto a Roger, hanno comunque accolto la sua richiesta e lo hanno applaudito come merita un campione a cui il tennis odierno deve tanto. Probabilmente la vittoria di Wimbledon non cambierà le cose, così come non le cambieranno le vittorie future: Federer e Nadal rimarranno i più amati, rispettati e considerati. Ma tutti quelli che amano il tennis dovrebbero ringraziare Novak Djokovic. Anche Roger e Rafa. Perché in fondo gli dei, per essere tali, hanno bisogno di giganti che osano sfidarli; e qualche volta batterli, come è accaduto ieri in una finale indimenticabile.

Salvatore De Simone

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