TENNIS – WIMBLEDON – DI RICCARDO NUZIALE – Victoria Azarenka abbandona i Championships dopo la sconfitta contro Bojana Jovanovski per 63 36 75. Un ko fratello di quello subito a Eastbourne contro Camila Giorgi: tanta volontà, tennis a sprazzi, pochissimo cinismo.
Dietro quello sguardo agonisticamente arcigno, quei violini cigolanti a intimorire l’avversaria nell’imprimere potenza contro ogni pallina, c’è una fragilità ben percepibile. È evidente, Victoria Azarenka non è l’inscalfibile macchina da guerra che vorrebbe far credere una volta entrata in campo, quell’illusione che a inizio 2012 sembrava davvero realtà (26 vittorie di fila, miglior inizio di stagione nel circuito femminile dalla leggendaria Hingis del ’97).
È una guerriera, indubbiamente, insieme a Maria Sharapova (anzi più della russa) l’unica capace di reggere in parte l’urto psicologico che Serena Williams impone. Sia a Eastbourne che a Wimbledon la bielorussa ha dato tutto, ha scarnificato la propria racchetta fino all’ultima preghiera di libertà, ha perso due match lottatissimi. Peraltro i nomi delle avversarie, Camila Giorgi e Bojana Jovanovski, erano tra i peggiori che le potessero capitare: entrambe istintive, esplosive, capaci di elargire molti regali ma anche di non dare alcun ritmo alla partita. Il più amaro dei veleni per chi sul ritmo ha costruito il proprio tennis e i propri successi, la più improbabile delle medicine per chi ha bisogno disperato di tennis, di giocare il più possibile per ritrovare una condizione che non può avere, dopo praticamente cinque mesi d’inattività (dal quarto di finale degli Australian Open contro Agnieszka Radwanska, ha giocato un solo match, a Indian Wells, beccandosi un bagel di benvenuto da Lauren Davis).
Anche oggi la prestazione di Vika è stata dominata da impulsi di sopravvivenza, di rifiuto della sconfitta, più che da un tennis serenamente costruito. Ha giocato con più propensione offensiva del solito, tanto che leggendo i numeri statistici si rimane abbastanza sbigottiti, considerando anche la tipologia di gioco della Jovanovski, non certo un’attendista: 46 vincenti a 27 per Vika, che ha commesso solo 4 gratuiti in più (26 a 22). In totale l’ex n.1 ha addirittura conquistato più punti dell’avversaria, 104 a 100. Percentuale quasi da Navratilova a rete, 21 discese vincenti su 27 per il 78% di resa; 74% di prime in campo, con il 69 e il 50 (sulla seconda) di trasformazione, 5 aces e 2 doppi falli. La stessa conversione palle break, che vede un disastroso 3 su 16 da parte dell’Azarenka, va letto con cognizione di causa, dal momento che a influire pesantemente è stato l’1 su 10 del secondo set, il parziale vinto dalla bielorussa (a ricordare che comunque le statistiche sono numeri molto fuorvianti se estrapolati senza la visione della partita, a partire dal significato di vincenti e gratuiti).
Il ko è arrivato per il più semplice dei motivi: Vika è arrivata a Wimbledon con troppo poco tennis non solo sulle gambe, ma anche e soprattutto nella testa. Non è tornato ancora in lei l’automatismo mentale che innesca i passaggi e i ritmi di una partita d’alto livello. E di certo non può essere considerato un passo falso, il suo; per quanto ai Championships vanti due semifinali (2011-2), l’erba non è la sua superficie prediletta e di certo non è la superficie ideale per un rientro dopo uno stop di mesi.
L’unico fatto positivo è che non perde punti, avendo replicato il risultato dell’anno scorso: nessun ulteriore scivolone, lei che già annaspa in una posizione di classifica che non le si addice. Il grosso dilemma si materializzerà però sull’amato cemento americano, dove i punti in scadenza sono un’enormità, con la vittoria di Cincinnati e la finale degli US Open.
Ma aldilà della semplice, volgare classifica, ci si augura di ritrovare la vera Azarenka, la cui assenza da troppo tempo sta togliendo equilibrio, spessore e qualità ai vertici del tennis femminile.
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