TENNIS – Di Andrea Scodeggio
«Dopo aver perso con Djokovic, sono tornato in Lettonia ed insieme a mio cugino sono andato al Casinò: ho puntato tutto il montepremi vinto a Parigi (412.500, ndr) e l’ho perso». Ernests Gulbis racconta con pura semplicità ciò che per noi è pura follia o stupidaggine.
Non può lasciare indifferenti un racconto del genere, non si può tentare di ignorare ciò che ha detto, perché solo lui sa catalizzare l’attenzione con i racconti delle sue peripezie. Non è mai stato un’atleta incline alla disciplina ed alle regole, uno sgobbone degli allenamenti in stile Nadal. Quasi robotico lo spagnolo e meticoloso nella sua programmazione, rispetto all’indisciplina del lettone.
Gulbis ricorda più un nomade che vive il giorno con leggerezza, raccogliendo ciò che gli capita e quasi finendoci per caso nelle situazioni in cui spesso si ritrova. La differenza sta nel patrimonio di famiglia, una delle più ricche della Lettonia, e soprattutto baciato da un talento snaturato e sciagurato, perché lo rende indolente ma terribilmente bello da vedere su un campo da tennis.
Non ci si annoia mai nel vederlo giocare, sia quando dal suo braccio scorrono traiettorie perfette con quel magico rovescio, sia quando è la lingua a lasciar scorrere parole spesso pungenti, ironiche e talvolta anche errate, sia agli arbitri che ai giornalisti.
Non è passata inosservata la considerazione in merito alla carriera delle sue sorelle, che preferirebbe non diventassero professioniste e pensare piuttosto a farsi una famiglia. La frase, infelice, è stata additata giustamente come sessista, ma le critiche non lo hanno mimicamente scalfito, perché è lui per primo a non calcolare i giudizi. Non si preoccupa di essere in torto o dalla parte del giusto, perché Ernests continua ad essere il risultato del suo pensiero e quello resta. Non si è fatto problemi a definire i fab four noiosi, attaccando i quattro mostri sacri della racchetta: Federer, Nadal, Djokovic e Murray, come non si è fatto problemi a spiegare perché fosse finito in galera con l’accusa di incitamento alla prostituzione, dichiarando di essersi perfino divertito a passare una notte in gattabuia.
Questo è Ernests e questo ha fatto sempre divertire ma lo ha anche allontanato, in un momento particolare della sua carriera, al tennis giocato. Si è rischiato che la bella vita ce lo portasse via, spegnesse quel suo grande talento convincendolo a ritirarsi, perché svuotato da ogni interesse che non fosse la mondanità ed il vizio. Un’ effimera vita alla Jep Gambardella, l’annoiato scrittore protagonista della Grande Bellezza di Sorrentino, svuotato di ogni interesse verso ciò che il tennis gli aveva regalato. Il paragone azzarda una comunanza di pensiero che in realtà non esiste, perché il personaggio di Sorrentino, al contrario di Ernests, non gode di nulla, mentre lui si è sempre lasciato trascinare in quel mondo, sguazzandoci dentro ma rischiando anche di annegarci e non rivedere più la riva.
Il buio della bellezza evanescente e poi di nuovo la luce. Il risveglio del giocatore che mantiene sempre un po’ del suo personaggio, ma che si concilia anche con l’atleta, più concentrato e competitivo. I primi segnali di risveglio si erano già intravisti nel 2013, con le vittorie a Delray Beach e San Pietroburgo, per poi proseguire quest’anno con le conquiste in terra francese: Marsiglia e Nizza, fino ad arrivare al Roland Garros, l’apice della suo tennis finora. Il raggiungimento della prima semifinale di un torneo del grande slam che lo ha proiettato, per la prima volta, tra i primi dieci del mondo, ancora più vicino a quei fab four che tanto disprezzava ma ai quali ora può quasi compararsi.
In verità lui non sarà mai come loro. Non avrà mai la loro disciplina, il loro senso del dovere, ma avrà in più la spregiudicatezza e l’estrosità che lo hanno portato ad avvicinarsi al loro livello. Anche quando si pensava fosse diventato irreprensibile, sì è scoperto subito che non è cambiato di una virgola, almeno nell’atteggiamento. I soldi spesi del montepremi conquistato a Parigi sono un’inezia, in confronto a ciò che ha fatto e che probabilmente continuerà a fare. L’importante è che continui ad essere protagonista anche nei risultati, come sta ampiamente facendo adesso.
Ad Ernests gli si perdona tutto, tranne l’indolenza ed i pessimi risultati. Finché il campo parlerà per lui, ciò che dirà e combinerà sarà solo di contorno e rimarrà, citando sempre Gambardella, sedimentato sotto il chiacchiericcio ed il rumore. Nulla che valga la pena di essere odiato, ma che strapperà una risata di consenso per il personaggio Gulbis.
Il tennista, invece, deve pensare solo al tennis. A noi appassionati basta questo.
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