TENNIS – Di Stefano Semeraro
PARIGI. Se avete nostalgia del Gattone, potete consolarvi con il Micetto.
Se a cavallo fra anni Ottanta e anni Novanta vi esaltavate per quel bel tipo di Miloslav Mecir, ex numero 4 del mondo e medaglia d’oro alle Olimpiadi nei 1988, finalista agli Open d’Australia e degli Stati Uniti, campione interrotto e soprattutto giocatore cult di una intera generazione di innamorati dell’imprevedibile – beh, il campo n.4 del Roland Garros è stato il posto giusto per stupirvi e spremere una lacrimuccia: lunedì ci ha giocato suo figlio, Miloslav Mecir junior, al suo debutto in un torneo dello Slam contro il tedesco Tobias Kamke.
Stupore perché Milo minore è una copia conforme del babbo, vederlo giocare è quasi straniante: stessa facciotta da felino danubiano e sornione, stessa barbetta fulva, stesso fisico, stessi colpi piatti e anticipati. Stessi problemi alla schiena. «E’ vero – ha ammesso lui – di solito la gente che vede me, vede mio padre». La differenza sta nei risultati, visto che a 26 anni papà Mecir era già un pensionato illustre, costretto al ritiro dalle vertebre doloranti che era abituato a stiracchiare pigro sui divani (e per quello Vittorio Selmi, tour manager dell’Atp, gli affibbiò un soprannome italiano, solo dopo tradotto in “Big Cat”: «Sembri proprio un gattone…»).
Il figlio, oggi n.211 del mondo, alla stessa età una carriera di vertice deve invece ancora costruirsela. «Fra i 14 e i 17 anni gli infortuni mi hanno praticamente impedito di giocare», spiega. «Ho anche pensato di smettere poi ho capito che i guadagni del tennis mi sarebbero serviti a mantenermi agli studi (in scienze naturali; ndr)». Mica scemo, il micetto. Tenere duro, con l’aiuto del padre che lo segue con affetto ma non come coach ufficiale, ha pagato.
A fine 2013 nell Atp di Vienna ha eliminato il n.51 del mondo Pablo Andujar e fatto sudare un po’ il 36enne Tommy Haas, ex numero 2 Atp (oggi è n.18): «Uno che mi ricordavo di aver visto giocare una volta a Perth – ha sorriso Milo – quando avevo nove anni e accompagnavo papá che faceva da coach a Karol Kucera (detto il Gattino; ndr)…».
DINASTIE. Nel tennis, a differenza che nell’automobilismo dove, vedi il caso-Rosberg, le dinastie sono spesso vincenti, raramente i successi dei padri ricadono sui figli. Nell’era del computer solo quattro figli d’arte sono stati capaci di entrare fra i Top 100: Sandon Stolle, n.50 (figlio di Fred, vincitore a Parigi nel 1965 e plurifinalista a Wimbledon), Taylor Dent, n.21 (figlio del n.17 Phil), Joachim Johansson, n.9 (Leif, n.51) e l’attuale n.51 Atp Edouard Roger-Vasselin, figlio di Christophe (n.29 e semifinalista a Parigi nell’83), che è stato battuto sul centrale da Jo-Wilfried Tsonga.
Alla schiatta dei Krishnan è andata meglio, soprattutto in Coppa Davis – papà Ramanathan, un idolo ai tempi di Nehru e Gandhi, portò l’India in finale nel 1956, il figlio Ramesh, numero 23 Atp, fece lo stesso nel 1987 – mentre quest’anno a Parigi hanno tentato le qualificazioni anche Emilio Gomez, figlio di Andrès, campione al Roland Garros nel 1990, e Sergey Bubka junior: erede non di un tennista ma del re del salto con l’asta che però nell’88 a Seul vinse l’oro proprio come Mecir senior. Corsi e rincorse (alla gloria). Il Micino un po’ ci spera, un po’ fa le fusa. «Debuttare a Parigi è un sogno che è diventato realtà, oggi posso dire di essere orgoglioso di essere un Mecir».
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