Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
29 Mag 2014 17:15 - La parola del Direttore
Ace Cream / Roland Garros: va di moda il tennis senza tattica
di Daniele Azzolini
TENNIS – dal nostro inviato a Parigi, Daniele Azzolini
È un tennis senza tattica, quello cui sto assistendo in questi giorni al Roland Garros. Lo è da anni, direte voi, ed è vero, ma in queste giornate l’annotazione mi riesce quasi insopportabile.
Vanno tutti in campo per menare, tutti, nessuno escluso. Incapaci di redimersi quando si accorgono che menare li sta conducendo nel verso sbagliato. “Ma ‘ndo vai, se il piano B non ce l’hai?”… Mi è capitato di titolare così un articolo sulla Giorgi, fra quelli del Matchpoint appena uscito. Il Piano B è la banana (nella canzone, lo era), e sembra che non piaccia più a nessuno. «Sono nata per giocare questo tennis, non morirò certo da pallettara», dice un po’ smorbiosa la giovane Camila. La risposta fa da epitaffio a questi nostri tempi.
Se è ancora vero quel detto che vuole il tennis simile a un palcoscenico, dove ogni protagonista reciti se stesso, il quadro d’assieme – capirete – non può che assumere tinte granguignolesche. Abbiamo a che fare con una generazione di giovani tennisti che anche nel privato becera e dispensa ceffoni come se nulla fosse? Magari solo per chiedere un caffè? Me lo chiedo. Così come mi chiedo se tattica sia ormai un sinonimo di vecchiezza. Forse no, non proprio, anche se resto convinto che un pizzico di maturità non guasti per tentare di leggere una partita di tennis qualche centimetro più in là del proprio naso. Ma vedo cadere nel gorgo dell’inconcludenza tennistica anche i giocatori di più lungo corso. Non tutti, per fortuna. Qui e là qualche luce si accende, talvolta tremula, più brillante in altri casi. Poche per determinare una congiuntura diversa dall’attuale, sufficienti però per alimentare qualche speranza.
Dopo attenta osservazione mi sono convinto che la redenzione sia, per molti dei nostri atleti della racchetta, un passaggio mentale estremamente faticoso e sconvolgente. La casistica di questi giorni offre spunti di riflessione. Serena Williams, per esempio… Ha dato forma, contro Garbine Muguruza Blanco, a un match senza capo né coda, giocato dal primo all’ultimo colpo nel modo sbagliato, o meglio, nel modo che avrebbe facilitato il compito all’avversaria. È talmente disabituata, l’americana, a prendere in considerazione un “piano B”, che è andata dritta alla sconfitta senza azzardare alcun cambio di rotta, men che meno una frenata, quando si è accorta (perché se né accorta, lo si capiva dal linguaggio del suo corpo) che sarebbe andata a schiantarsi. Non solo. Chiamata a un’analisi della sua prestazione, ha preso atto della sconfitta, e ha risposto (anche a se stessa, dunque) che di tanto in tanto perdere le fa bene, perché solo in questo modo trova l’energia per tornare a vincere. «Cosa che farò anche questa volta», ha concluso minacciosa. Del perché abbia perso, e se vi fosse un modo per evitarlo, non c’è traccia nella sua disamina. Forse nemmeno le interessa.
Anche Camila Giorgi, nel suo piccolo, ha recitato la parte della perdente senza un perché. Tipico del suo modo di giocare. S’è accorta però – ed è già un bel passo avanti – che la Kuznetsova le abbia cambiato gioco, e che questo non abbia favorito i suoi piani. Non le è venuto in mente, invece, di cambiare a sua volta, e se lo ha pensato lo ha subito escluso. «Io gioco così», ha ribadito, per l’ennesima volta. Temo assai che se proseguirà su questa strada, la giovane Camila resterà una giocatrice capace di exploit intensi ma isolati, dunque fondamentalmente incapace di vincere un torneo importante. Vedremo se gli anni la condurranno a punti di vista meno unilaterali.
In tutto questo, a farci un figurone, è stata la russa. Anche lei, la Kuz, è andata in campo per menare, ma è stata in grado di accorgersi per tempo che su quella strada avrebbe finito per prendere schiaffoni dall’azzurra. Ha cambiato spartito, a quel punto, e si è messa ad arruffare pallettoni in top spin. In un amen ha capovolto l’andazzo del match, e ha finito per vincere quasi a mani basse, lasciando che fosse la Giorgi a darle i punti che servivano.
C’è infine il caso Pennetta, il terzo che prendiamo in esame. Anche Flavia ha impostato male il match con la svedese Larsson, ha accettato gli scambi prolungati, e non ha smesso di offrirle sul dritto gli appoggi per farla apparire irresistibile. Aveva una tangenziale, nel tabellone, buona per farsi scaricare dritta nei quarti. E l’ha buttata via senza nemmeno tentare di cambiare le carte in tavola. Quanto meno, se n’è accorta, e si è data pubblicamente della cretina. A voi (e anche a noi, certo) stabilire se la lezione le servirà nei prossimi tornei, seppure il famoso “piano B” vada elaborato e studiato in allenamento, più che inventato quando si è alle strette. Ma questo porta inevitabilmente a un altro interrogativo. Che ci stanno a fare i coach? Meditate, gente, meditate…