TENNIS – Di Paolo Bertolucci
Dopo tanti, troppi anni di attesa, finalmente un giocatore italiano è sotto i riflettori e sta illuminando il panorama tennistico. Fabio Fognini si è rifiutato di vivacchiare nella malinconia degli elogi un pò ipocriti della corte uscendo prepotentemente dalle retrovie, vincendo la lunga sfida contro se stesso e i propri limiti caratteriali.
Non c’è niente di più eroico che confrontarsi con questo avversario interno che si era dimostrato così forte da rallentarne l’esplosione. I suoi indizi di grandezza erano apparsi evidenti fin dall’inizio, dove, sia pure a sprazzi, mostrava una notevole produzione di colpi e di effetti speciali con i quali ammaliava e forniva emozioni.
Le attese degli appassionati si erano riversate sulle spalle del talento ligure, la maturazione tardava ad arrivare e una certa indolenza ne frenava il salto definitivo. C’era qualcosa che lo metteva in discussione, qualcosa di aritmetico che non sono le valutazioni dei tecnici o le opinioni dei tifosi, ma i risultati nudi e crudi. Sull’orlo del purgatorio tennistico ha avuto un sussulto, si è affidato alle sapienti mani di Josè Perlas, ha iniziato a lavorare duramente assemblando tutte le componenti del proprio gioco e ha ripreso con grande lena la scalata del ranking.
In uno sport di situazione come il tennis, dove cambiano molti parametri (la velocità, la traiettoria, la profondità e la rotazione della palla), dove variano le condizioni ambientali, geo-climatiche e le superfici, la prima qualità che un giocatore deve possedere è una grande capacità di adattamento e di forza mentale. In passato tutta l’attenzione era rivolta alla parte tecnica tralasciando la costruzione dell’atleta completo, a partire dalla mente e dal corpo.
Il braccio serve, ma da solo non basta e può progredire solo chi è attrezzato allo scopo attraverso una severa educazione. E Fabio l’ha fatto. Ha dovuto attendere la piena maturità, è stato in grado di rialzarsi dopo gli inciampi e, sulla scia dei successi, ha messo da parte l’umore instabile che offuscava il talento, i lanci di racchetta, le imprecazioni e gli ululati alla luna. Era un killer che spesso rivolgeva la canna contro se stesso, ma che adesso impugna correttamente l’arma e impallina gli avversari.
Fisicamente è uno dei migliori del circuito, si muove come un gatto e anche in condizioni di precario equilibrio, cerca e trova gli appoggi migliori e raramente trasmette la sensazione di essere in ritardo. Nel dritto, in fase di controllo ha incrementato il top spin e aggiunto una maggiore profondità al colpo, mentre le accelerazioni inside out sono di livello assoluto tanto da scardinare le difese dei giocatori meglio attrezzati. Il rovescio si avvale di una buona manualità per passare dal back (solido e profondo) all’esecuzione bimane in top che risulta mortifera quando affonda con il lungoriga. Il servizio offre una varia gamma di direttrici condite dalla consistenza e dalla precisione, ma ciò che appare in continuo progresso è la capacità di generare pressione sulle diagonali tenendo in mano le redini dello scambio senza salti nel buio o improbabili avventure, bensì rimanendo lucido tatticamente nel portare l’avversario sul terreno preferito.
Il cuore pulsa a pieno regime e quando capisce che il recupero della palla è alla sua portata, la determinazione lo conduce verso l’obiettivo. Nel suo comportamento c’è sempre più spazio per la ritualità che conduce al conseguimento del risultato e sempre meno bizzarrie. Dopo tanti, troppi anni di attesa…