TENNIS – di FEDERICO PARODI
Fabio Fognini, almeno per un giorno, è diventato il personaggio più chiacchierato dell’Italia sportiva. Più di Balotelli, di Totti e di Pirlo, più di Federica Pellegrini o di Valentino Rossi. Con l’impresa di domenica contro Andy Murray il ligure ha restituito il tennis alle prime pagine dei giornali. I media hanno letteralmente consumato le facciate del vocabolario nel tentativo di trovare gli aggettivi più consoni a etichettare la prova maiuscola del “Fogna”.
Com’è ovvio che sia in un paese che attendeva da 16 anni una semifinale di Davis, i toni trionfalistici hanno prevalso. Che abbiano esagerato o meno poco importa, perché l’Italtennis esce dalla tre giorni all’ombra del Vesuvio con una consapevolezza che ha il dolce sapore della riscossa: abbiamo, finalmente, un giocatore vero. Sì, perché il 26enne Fognini da Arma di Taggia ha sfoderato probabilmente la miglior prestazione della carriera nel momento più difficile: contro un campione come Murray, quando l’Italia si trovava con l’acqua alla gola ed era a un passo dall’eliminazione. Le sue qualità lo obbligano a vestire i panni del trascinatore e, quando le cose non vanno come tutti si aspettano – com’è accaduto nel doppio del sabato – una prestazione come quella offerta dal ligure soltanto 24 ore dopo rappresenta l’emblema della sua maturazione.
Fabio, con il talento gentilmente recapitatogli da madre natura, può “accontentarsi” di una carriera più che onesta tra i primi 15-20 giocatori del mondo, condita qua e là da qualche affermazione in tornei minori e da imprese sporadiche in Coppa Davis. Bisogna chiedersi se andrà incontro a un precoce appagamento o continuerà, invece, a migliorare, seguendo le direttive di José Perlas, mentore e principale artefice dei recenti successi dell’azzurro. La chiave di volta, nello sport come nella vita, è non pensare mai di essere arrivati. Fognini deve focalizzarsi su questa massima se vorrà riscrivere le pagine della storia del nostro tennis e, chi lo sa, diventare il più grande giocatore italiano di sempre.
Per il momento, il palmarès del ligure non è neanche paragonabile a quello delle nostre due leggende, Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta. La strada è ancora lunga, Fognini ha da poco spiccato il volo: nello scorso luglio ha vinto Stoccarda (250) e Amburgo (500), quest’anno Viña del Mar (250), mentre negli slam ha come miglior risultato i quarti al Roland Garros nel 2011. Tutti questi risultati, a cui va aggiunta anche la semifinale di Montecarlo dello scorso anno, sono stati registrati sull’amica terra rossa, la stessa che domenica gli ha regalato una delle gioie più grandi della vita. Sulle altre superfici (in particolare sul cemento) ci sono stati dei piccoli progressi (ottavi all’ultimo Australian Open), ma nulla di trascendentale. Il successivo step passa proprio da qui. Appurato che il ligure vale in questo momento la top 5 sul rosso, dietro ai vari Nadal, Djokovic, Federer e Ferrer, è sulle altre superfici che il “Fogna” deve costruire la non impossibile scalata alla top ten.
Fognini ha le carte in regola per far bene anche sul veloce: un passo in avanti dentro il campo, una migliore resa al servizio e un pizzico di convinzione in più potrebbero dargli una grossa mano. Il talento non è in discussione, ha nelle corde variazioni che ne fanno uno dei giocatori più completi e imprevedibili del circuito Questa imprevedibilità, croce e delizia per gran parte dei geni dello sport, è un concetto che abbraccia anche la parte mentale del gioco, la componente che non si vede, ma che pesa come un macigno nel tennis. L’aspetto psicologico è stato coltivato da Perlas in questi mesi, ma anche qui i progressi non sono mai abbastanza e la crescita dovrà essere parallela: tecnica e mentale.
Nel tennis maschile di oggi, soltanto eguagliare i risultati di Pietrangeli e Panatta, vincitori slam guarda caso a 26 anni (la stessa età di Fabio) sarebbe miracoloso. Continuando a lavorare con la stessa fame di risultati, l’azzurro potrà togliersi altre soddisfazioni e chissà che, prima o poi, non capiti sotto mano una ghiotta occasione. D’altronde l’ultimo Australian Open docet, con Wawrinka vincitore a sorpresa a 29 anni del primo slam in carriera. Ma da qui a prevedere che il ligure batterà i record dei miti del tennis azzurro ce ne passa: il 1976, l’anno magico di Panatta, che vinse Roma e Parigi e poi trascinò l’Italia alla vittoria in Davis, sembra irripetibile, così come i risultati di “Nic” Pietrangeli, quattro volte finalista al Roland Garros tra il 1959 e il 1964 (con due trionfi).
A prescindere da questi scomodi paragoni, Fognini è in piena corsa per diventare uno dei più grandi tennisti della storia italiana. Il tempo ci dirà fin dove può spingersi il suo talento, fin dove potranno sognare i suoi tifosi. La certezza che abbia imboccato la strada giusta c’è, ma ora non può fermarsi. Lo deve a tutti noi, che da troppo tempo aspettiamo ai vertici del tennis mondiale un nostro giocatore.
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