TENNIS – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Juan Martin Del Potro si è operato. Di nuovo. Ancora al polso; dopo mesi di cure conservative, ha dovuto arrendersi all’evidenza. La sfortuna e la sconsideratezza di un giocatore che ogni volta che è pronto a fare il passo decisivo, si ferma. Ma tornerà.
Un’altra stagione senza Del Potro. Dovremmo esserci abituati, ormai, non dovremmo sorprenderci più. Eppure Juan Martin già ci manca. Dopo il trionfo inaspettato nel 2009 agli US Open, molti (portandogli anche una discreta sfiga) lo indicarono come sicuro futuro numero uno del mondo. E invece, da lì, i guai.
Il polso destro che fa male e che viene sottovalutato, ci si gioca sopra, si perdono sei mesi. E poi, la decisione: meglio operare. Meglio fermarsi. Juan Martin perderà praticamente un anno fuori dal campo, senza potersi davvero allenare: il polso destro è quello che usa per la sua frustata di dritto, la sua arma letale. Quando torna, Del Potro è fuori dai primi duecento giocatori al mondo; spaesato, affannato, ci mette mesi a riprendersi, torna se stesso solo per la stagione indoor. Nel frattempo ha qualche altro problemino fisico di tipo muscolare. Capita, il fisico risente della pausa e dello sforzo tutto insieme.
Questa volta Juan Martin ha molte più colpe: ci era passato, sapeva cosa fosse e che perdere tempo è inutile. Ma si è spaventato. “Dopo tutto quello che ho passato, sono ancora qua”, deve aver pensato, e non ha torto per averlo fatto. I suoi torti nascono da una programmazione sconsiderata, settimane consecutive di tornei, non un cambio di preparazione fisica, non un accorgimento, l’extra dei doppi inutili, il non avere ascoltato il proprio corpo. E gli è preso il panico.
Era chiaro fin dagli Australian Open (e a dir la verità fin dalla fine della scorsa stagione, in cui cottissimo si trascinò fino a Londra) che qualcosa di grave stava accadendo, che quel polso lo stesse abbandonando. Fino a due settimane fa, Del Potro non voleva nemmeno sentir parlare di operazione. Aveva voluto convincersi della bontà di palliativi che servivano solo a illudersi di interventi non necessari. E poi, dopo l’ennesimo ritiro, a Miami, la decisione. Sofferta, lo si capisce leggendo il suo pacato e rassegnato messaggio su Facebook. Poco dopo, la telefonata dell’amico Roger che gli augura il meglio e si mette a disposizione, qualsiasi cosa abbia bisogno.
Del Potro, l’eroe promesso, l’eroe perseguitato dai guai, che paga a caro prezzo quella precoce vittoria a Flushing Meadows, quelle attese, quelle parole sui predestinati. Ora c’è un’altra montagna da scalare, perché l’operazione è solo l’inizio, il campo base. Il recupero sarà altra cosa. Dovesse tornare dopo gli US Open, lo farebbe da numero 19 del mondo, poco male. Ma affretterebbe e rischierebbe e a questo punto, vale la pena? Meglio aspettare e se dovesse essere 2015, sarà numero 150 del mondo e riproverà a sfidare il fato, magari con un po’ di oculatezza in più. Il fatto che questa volta sia il sinistro e non il destro vuol dire che sarà in grado di allenare il dritto e di stare sul campo, e non è poco.
Noi, Juan Martin, ti aspettiamo. Perché crediamo nei lieti fine. Perché vogliamo crederci, perché aspettiamo le sassate, perché il tennis ha bisogno di te.
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