Di ROSSANA CAPOBIANCO – Roger Federer e Rafa Nadal non sono mai stati amici, a differenza di chi si inventa idilli particolari: adesso sembrano non essere nemmeno più tanto cordiali e non se le mandano a dire in conferenza stampa. Opinioni diverse, diverse richieste. La politica del tennis.
Siamo in periodi bellicosi: non vogliamo fare alcun parallelo, e ci mancherebbe, con quanto di drammatico e terribile accade in questi giorni in Ucraina e non solo, non li faremo.
Ma nei periodo in cui ricorre il World Tennis Day (3 Marzo, ndr), che si festeggia con molte esibizioni tra vecchie e nuove glorie da New York a Londra, si consuma quella che pare essere sempre di più una guerra fredda tra due grandi rivali, i rivali per eccellenza dell’epoca moderna e contemporanea del tennis: Roger Federer e Rafa Nadal. La guerra, più che in campo e più che per cose di campo, si consuma in conferenza stampa. Nessun attacco frontale, non è nello stile di nessuno dei due, sempre molto diplomatici; così tanto che, qualcuno con della fantasia eccessiva si è pure inventato in passato un’amicizia che in realtà non è mai esistita, piuttosto si è sempre trattato di una cordialità delle volte esagerata. Il rispetto rimane, persiste, ma sembrano lontanissimi i tempi degli abbracci consolatori, delle risate negli spot, delle esibizioni insieme.
A puntualizzare ciò è lo stesso Federer, da Dubai, dove ha appena vinto il 78esimo trofeo della sua infinita carriera. Si riferisce a molti dei suoi rivali e dunque anche al suo storico: «Non sono così certo di tutta questa amicizia. Sarò interessato a scoprirlo quando non saremo più sul circuito e se ci sentiremo ancora, ma non è che andiamo a cena insieme, per dire. Con Rafa son stato più a lungo in situazioni diverse, conosco la sua famiglia e tutto, ma l’amicizia è un’altra cosa».
Parole dello svizzero che arrivano dopo aver risposto a Nadal, che critica alcune delle superfici veloci che si sono viste ultimamente sul circuito e predilige un tennis più tattico e pensato, tanto da desiderare un solo servizio e non prima e seconda:
«Io credo ci voglia intelligenza e sapienza tattica, oltre ad una notevole capacità tecnica per scegliere che tipo di servizio giocare in quel determinato momento, contro quell’avversario. Voglio varietà delle superfici, che ci siano le lente e quelle veloci, non essere sempre costretti a giocare minimo dieci scambi per vincere un punto su tutte le superfici».
C’eravamo tanto amati? Forse amati proprio mai, ma certo quando Nadal era vice presidente del Council e Roger presidente (carica che ricopre ancora adesso), sembrava che ci fosse meno distanza tra le loro posizioni. Già allora però lo spagnolo spinse per accorciare la stagione comprimendola per ottenere due settimane in più di off season, contro il parere dello stesso Federer, che però allora cedette.
Rafa adesso non vuole più saperne di ruoli “politici” nel tennis e si affida alle lamentele pubbliche richiedendo quello che ritiene giusto; nel frattempo, Federer pare avere ampliato il proprio potere all’interno del Council e insieme al supporto di altri giocatori (tra i quali Murray e Tsonga e a tratti pure Djokovic, che però con lo svizzero non è sempre stato d’accordo) sta spingendo per tornare ad avere una eterogeneità delle superfici, passaporto biologico e prize money.
«Siamo forse troppo carini gli uni con gli altri ogni tanto. Non voglio dire che noi giocatori di oggi siamo troppo morbidi, ma penso che talvolta non sarebbe male scontrarci un po’ di più».
Le intenzioni sono chiare: nessun attacco, nessuna rappresaglia. La guerra fredda è lunga ed è fatta di piccoli veleni. Le guerre in campo ce le auguriamo più appassionanti.
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