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Challenge Round. Agassi, Sampras e il fair play a Miami '94

TENNIS – di FABRIZIO FIDECARO

Andre Agassi ha vinto per ben sei volte il torneo di Miami, un record assoluto. Forse, però, ancor più che per i tanti successi, il suo nome è rimasto legato al Master 1000 della Florida per un gesto di fair play che, di fatto, gli costò la finale del 1994 contro Pete Sampras.

Il torneo maschile di Miami è legato in modo indissolubile al nome di Andre Agassi. L’ex Kid di Las Vegas è il giocatore che ha conquistato in assoluto il maggior numero di titoli: ben sei tra il 1990 e il 2003. Con i suoi quasi 33 anni, lo statunitense è tuttora il più anziano vincitore e fino a poche stagioni fa era anche il più giovane, ma nel 2007 Novak Djokovic gli ha sottratto questo primato per pochi giorni.

Dopo il successo del ’90 su Edberg, lo statunitense tornò a imporsi per due volte di fila nel 1995-96: nella prima superò al tie-break decisivo Pete Sampras, cui poco dopo strappò per la prima volta la leadership del ranking; nella seconda vide il suo avversario, Goran Ivanisevic, ritirarsi dopo appena tre game per un problema al collo.

Andre primeggiò nuovamente da ultratrentenne, e per tre stagioni consecutive, dal 2001 al 2003, nell’ordine su Gambill, Federer e Moya. In precedenza due finali perse, nel ’94 con Sampras e nel ’98 con Marcelo Rios. Con ogni probabilità, più ancora delle sei vittorie, fu la sconfitta patita dinanzi a Pistol Pete giusto vent’anni or sono, quando l’evento era ancora conosciuto come “il Lipton” e la location da tutti chiamata Key Biscayne, a fargli conquistare la stima e l’affetto del pubblico della Florida.

La mattina della finale, infatti, il sette volte campione di Wimbledon (ma all’epoca ne aveva vinto solo uno, proprio come il suo avversario…) si svegliò accusando una sensazione di malessere e, in particolare, forti dolori addominali. La cena a base di pasta della sera prima non era stata digerita e fu rigettata. Pete, palesemente infiacchito, venne curato tramite flebo, ricevendo liquidi per via endovenosa per circa novanta minuti. Non sarebbe mai riuscito, però, a scendere in campo all’orario prefissato. Il regolamento permetteva ad Agassi di ottenere un comodo successo per forfait, ma Andre, con grande sportività, accettò di iniziare il match con un’ora di ritardo, per consentire al suo avversario di riprendersi meglio.

In effetti Pete, pur scendendo in campo a stomaco vuoto, diede subito l’impressione di aver recuperato, almeno parzialmente. Quando, però, cedette il primo set 75 dopo essere stato avanti per 5-2, in molti pensarono che non sarebbe stato in grado di proseguire. Invece, Sampras continuò e, anzi, giocò sempre meglio fino a ribaltare la situazione. Appoggiandosi al servizio e con il braccio sciolto, si aggiudicò secondo e terzo set con un doppio 63, chiudendo dopo due ore e quattordici minuti con quattro ace nell’ultimo game, su un Agassi onestamente un po’ frastornato dalla situazione.

Pete, nel corso della cerimonia di premiazione, non mancò di ringraziare Andre, che, seppur sconfitto, uscì dal torneo rafforzato nell’immagine. «Se non riesco a battere il miglior giocatore del mondo, non merito il trofeo», dichiarò Agassi, severo con se stesso. «E di certo non lo merito se non riesco a batterlo nemmeno quando è malato». «Mi ha mostrato tanta classe, ed è qualcosa che non dimenticherò mai», replicò il suo storico rivale, felice e riconoscente.

Per dirla in soldoni, il gesto di fair-play costò ad Andre qualcosa come 114.000 dollari, ossia la differenza tra il prize money destinato al vincitore (242.000) e quello del finalista (128.000). Dodici mesi più tardi, sullo stesso campo, sarebbe giunta l’agognata rivincita, per 76 al terzo in rimonta: un’affermazione determinante per condurre il Kid, che nel frattempo aveva perso la sua folta chioma, sulla vetta del ranking mondiale per la prima volta. E di certo in quel momento la gioia fu così intensa da fargli smaltire la delusione patita un anno prima…

 

Fabrizio Fidecaro

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