Dall’inviato a Melbourne, Luigi Ansaloni
Roger Federer conquista l’accesso alla semifinale degli Australian Open (undicesima di fila a Melbourne) battendo nei quarti di finale a Melbourne lo scozzese Andy Murray in 4 set: 6-3 6-4 6-7 6-3 in 3 ore e 20 minuti. Una partita che si può definire romantica, nel vero senso della parola, nel senso più puro del termine. Alla Rod Laver Arena si è racchiuso nel tempo che questi due straordinari giocatori sono scesi in campo tutta l’essenza del tennis, dello sport, e perchè no, magari esagerando un pò, anche della vita. Uno “Sturm und Drang” che avrebbe fatto impallidire e impazzire perfino i tedeschi del 1700.
Per due set si è assistita al genialità di Roger Federer, alla rappresentazione in colpi da tennis del talento più cristallino e più fantastico possibile e immaginabile. Alcuni colpi dello svizzero sono stati al limite dell’immaginazione, tanto splendenti da non poterli nemmeno sognare ad occhi chiusi. Se fosse stata musica, sarebbe stata Mozart. Se fosse stata poesia, sarebbe stata Shaskespeare. Se fosse stato cinema, sarebbe stato Marlon Brando nel “Padrino”. Potremmo andare avanti all’infinito con gli esempi, ma è giusto fermarci qui. Ma Federer è sempre un umano, è sempre stato forse umano troppo umano, anche nel suo bagaglio di straordinaria disumanità, e ad un certo punto ha smesso di comporre, di pennellare, di recitare la sua parte in maniera perfetta.
E così è entrato in campo, forse nel vero senso della parola, Andy Murray. Che magari non sarà capace di salire in certe cime, anche se stiamo parlando di uno che ha vinto Wimbledon e Us Open, ma che questa sera ha saputo ugualmente offrire uno spettacolo ugualmente emozionante quando quello del suo più titolato e anziano collega. Murray ci ha messo il cuore, e mai come questa volta espressione fu più corretta. Poteva perdere 3 set a 0 da Federer, da questo Federer, non gli avrebbe niente nessuno. E come si poteva dire qualcosa, dopotutto, a questo ragazzo che fino a qualche mese fa era in un letto d’ospedale a farsi operare alla schiena, che non è esattamente una parte secondaria del corpo umano, men che meno per un tennista (e Federer ne sa qualcosa). Poteva alzare bandiera bianca dopo aver perso due set, poteva dire che ok, non era lui, e nessuno avrebbe obiettato, perchè nessuno si aspettava chissà cosa da lui. Andy non era certo quello che a luglio aveva alzato (finalmente, viva lui) la coppa d’oro di Wimbledon. Vagava per il campo della Rod Laver Arena quasi claudicante, stanco, lontano dalla sua forma migliore. E in più vedeva lo svizzero tirare fuori dal bagaglio di talento sovrumano un colpo dietro l’altro. Poteva arrendersi, nessuno si sarebbe lamentato. Ma lui no. Si è comportato davvero da scozzese. A tratti ha quasi commosso il pubblico, che si è schierato dalla sua parte, vuoi in nome della Regina, vuoi per volere di quinto set, vuoi perchè alla fine tutti vogliamo sangue e arena. Sangue e arena. Ha strappato il servizio allo svizzero sul 5-4 mentre Federer serviva per il match, e lo ha sdradicato nel tie break. Nel quarto set ha annullato 8 palle break, ha giocato un game da 26 minuti, non si è arreso per un secondo. Il cuore a volte lascia più stupiti e ammirati del genio. Perchè è umano. Pechè ti fa venire voglia di prendere anche tu la racchetta e scendere in campo a dargli una mano. Perchè il genio è un dono, il cuore è una conquista.
E ora Federer-Nadal, atto numero 33. Siamo 22 a 10 per lo spagnolo. La testa dice che saranno 23 a 10, il cuore per una volta tende a seguire ciò che dice la mente. Lo svizzero è apparso un pò stanco verso la fine, e sebbene Rafa sia perseguitato dalle vesciche alle mani, il favorito (e non di poco) appare lui. Federer adesso dovrà difendere personalmente il suo record di slam vinti, in prima persona. Con la sua genialità, che a volte potrà fare le bizze (e le fa eccome), ma ancora in grado di produrre pennellate che in un campo da tennis, poche, poche volte si sono viste.
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