dall’inviato a Melbourne, Luigi Ansaloni
La partita tra Djokovic e Fognini è durata molto meno dell’ora e 23 minuti e del 6-3 6-0 6-2 che segna il tabellone della Rod Laver Arena. A voler essere ingenerosi, ma Fabio non lo merita e non lo meriterebbe per il comunque positivissimo Australian Open che ha disputato, potremmo perfino dire che la partita proprio non c’è stata.
Il gesto del lancio della racchetta del ligure verso Djokovic dopo l’ennesimo punto meraviglia del numero 2 del mondo è forse il particolare più emblematico di questo freddo pomeriggio australiano azzurro, ben diverso dalla trionfale mattinata appena vissuta con la splendida vittoria di Flavia Pennetta. Fognini si è immediatamente reso conto che contro Djokovic non aveva la minima speranza, forse il match lo aveva già perso nello spogliatoio: il ligure insomma non ci ha creduto, non ci credeva, nè prima nè durante. Dunque, subito bandiera bianca e show per il pubblico, che ha comunque gradito. Perchè Fabio è un ragazzo simpatico, giocherellone, burlone, benchè la gente pensi diversamente, e alla fine sta simpatico ai colleghi. Djokovic si è subito adeguato allo stato di cose: ha fatto il suo, ha spinto quando doveva, ha velocizzato il più possibile ma non ci è certo dannato la vita per umiliare l’avversario. Che per inciso, è il numero 15 del mondo, non esattamente l’ultimo arrivato. Ma Nole in Australia è un marziano, non perde dai quarti di finale con Tsonga nel 2010, è semplicemente di un altro sistema solare rispetto a (quasi tutti): tra gli umani rientra sicuramente Fognini.
Comportamento arrendevole giusto, quello di Fabio? A qualcuno potrà anche non piacere quello che si è visto in campo, quell’atteggiamento da fazzoletto bianco, mani in alto e così via. A torto o a ragione, non sta di certo a noi dirlo. Con oggettività, visto l’attuale Djokovic, alla fine della fiera sarebbe cambiato poco, davvero poco. Alla fine della fiera, almeno, chi era alla Rod Laver Arena ha visto qualcosa di diverso, tra sbuffoni, accelerazioni, erroracci e sorrisi. Forse il tennis, forse l’essere personaggi, è anche questo. Nole, per completare il tutto, a fine partita si è esibito con Jim Courier in una delle sue ormai leggendarie imitazioni al servizio: sua vittima questa volta è stato il suo neocoach, Boris Becker, che ha riso come un pazzo. Come tutti del resto. Perchè sì, alla fine si può vincere e si può perdere, ma un tocco di leggerezza non può che far bene. Perchè contro il riso, contro una bella risata, non puoi fare niente. Altrimenti, il “Nome della Rosa”, probabilmente non sarebbe esistito. E un vincente non si misura da questi particolari. E chi l’ha detto che bisogna per forza fare i musoni, anche nella sconfitta?
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