dall’inviato a Melbourne, DANIELE AZZOLINI –
Due chiacchiere con Potito Starace, laggiù, nell’angolo nascosto della sala stampa. È nel tabellone del doppio, ha vinto il primo match di fianco a Seppi. Sta bene, finalmente. E ha voglia di provarci ancora. Ha avuto problemi serissimi alla schiena, nel 2012 non ha praticamente giocato. L’anno scorso è tornato in campo, ma qualche ricaduta l’ha obbligato a non spingere troppo forte. Ora tutto questo è alle spalle e lui si sente ancora tennista, a tutti gli effetti. Abile e arruolabile. Non si pone limiti. Tenterà le qualificazioni nei tornei della stagione sudamericana, ritiene di poter dare ancora qualcosa al tennis italiano.
Si avverte che sotto pelle, la voglia di Coppa Davis è ancora grande. «Io mi convocherei», dice. Ma siccome non è uno sciocco, aggiunge che convocherebbe pure Volandri. Dato che tre nomi sicuri per l’Argentina già ci sono (Fognini, Seppi, Bolelli), c’è posto per uno soltanto, e Potito ammette che la scelta è difficile, e che lui stesso – messe da parte le sue sacrosante voglie – non saprebbe che fare.
La domanda è spontanea. Con il capitano ti sei visto, ne avete parlato? No, la risposta. «Non ci siamo incrociati, non l’ho sentito».
Viene un dubbio… Scusa Poto, ma dall’inizio dei tuoi guai, nel 2012, qualcuno si è fatto vivo con te? «No, nessuno. Non sento nessuno da anni»…
Mi ha fatto male saperlo. Potito Starace è stato l’uomo Davis della squadra azzurra per non meno di sei o sette stagioni. Uno sprone per gli altri. Quindici match in singolare e una sola sconfitta, a Genova contro Federer… Ora forse non è più il suo tempo, forse… Ma un pizzico di solidarietà non è materia deperibile, non ha tempo e non ha scadenza. Basta sentirla dentro.
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