dal nostro inviato DANIELE AZZOLINI

MELBOURNE – A far conto su quel po’ di psicologia che ho imparato a frequentare, in questi miei ultimi sessant’anni, le lamentazioni di Nadal meriterebbero l’archiviazione immediata per la non sussistenza dei fatti. Con quel po’ di bonaria accondiscendenza che è giusto avere nei confronti dei campioni, in questo caso del numero uno, superfici troppo veloci e vesciche alle mani sono pronto a retrocederle a mere banalità, sintomi tutt’al più di una qualche lieve insicurezza giunta a visitare il nostro, in avvio di un torneo che da anni lietamente si consegna nelle mani del concorrente più diretto.

Eppure, c’è qualcosa che non mi convince, in questa disamina che, sono certo, non è improponibile e nemmeno così lontana dal vero. È possibile, voglio dire, che il quadro d’assieme sia proprio quello appena descritto, con al centro un Rafa meno sicuro del solito, e dunque pronto a mettere le mani avanti. Non ci sarebbe niente di male, tutt’altro. A Melbourne siamo nelle terre di Djokovic, che qui vince da quattro anni, e da due sembra aver messo a punto un suo personale (e redditizio, ci mancherebbe) approccio alla stagione, che lo vede ai massimi in contro tempo rispetto alla concorrenza, cioè nei mesi che vanno da ottobre a febbraio. Insomma, che qui Rafa si senta meno nei suoi cenci, è quanto meno comprensibile.

Eppure, Rafa si lamenta troppo da qualche tempo a questa parte, e le lamentazioni non sono mai state il suo pane quotidiano. Non per come lo conosco… Insisto, c’è di più. C’è la mia convinzione, per esempio, che a disporle in bella fila queste geremiadi nadaliane, esse finiscono per disegnare un mondo, meglio, un tennis, ben lontano dall’attuale. Non un tennis che mi affascini granché, lo dico subito. E senza spirito polemico, dato che ognuno ha il diritto di vedere le cose a modo suo. Non c’è dubbio però che il tennis dipinto da Nadal sarebbe – e non c’è altro modo per descriverlo – un tennis per Nadal, cioè a sua misura. Con una classifica forgiata sui risultati biennali, con superfici sempre più lente, in grado – dice lui – di trasformare i confronti in vere e proprie risse, se non in veri e propri match di boxe tennistica, «l’unica che fa divertire la gente» ha ripetuto anche ieri a margine della sua vittoria per ritiro su Tomic. Un tennis con il Master di fine anno su terra rossa, con procedure antidoping meno invasive. E via ipotizzando.

Non un tennis che mi piaccia, perché ritengo che la classifica biennale sia una frescaccia, che il tennis veloce abbia il suo appeal, che vadano rispettati anche quei giocatori che giocano diversamente. Perché trovo buona parte delle risse pugilistiche fra tennisti noiose. E perché le procedure antidoping penso debbano essere intensificate. Ma è il tennis che si viene determinando dalle lamentazioni di Rafa. Sempre che non mi voglia smentire. Anzi, lo spero…

Daniele Azzolini

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