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Dopo il doping, cosa resta di questo tennis? Una polemica d’amore

di VALENTINA CLEMENTE – Manca solo la finale di Coppa Davis all’appello e a breve potremo mettere in ripostiglio, per qualche settimana, le nostre racchette preferite senza più porci quelle sacre questioni che contrappongono i tifosi di Federer, Nadal e Djokovic.

Questo almeno a livello di apparenza perché magari non ci scontreremo più su classe e concretezza, ma questa off season rimarrà probabilmente marcata dagli strascichi delle storie di doping, non ultimo il caso della Llagostea Vives che ovviamente si è detta innocente.

La sensazione, purtroppo (e lo dico a livello molto personale), è che questo 2013 più che lasciarci vittorie storiche o partite da archiviare nella nostra memoria, ci abbia aperto gli occhi su una serie di dubbi ragionevoli, soprattutto perché in queste ultime settimane, visto che i protagonisti del circuito si sono posti su blocchi differenti che invece che diminuire la tensione l’hanno in qualche modo aumentata.

Quello che poi rende ancor più triste la vicenda è che questo gran parlare poi nasconda le lacune di un tennis giocato che pone differenze abissali anche tra i top player e che non vede un ricambio futuro quando la generazione dei nostri ‘supereroi’ dovrà appendere la racchetta al chiodo.

Il 2013 purtroppo ci ha confermato una tendenza all’uniformità e non è un caso se il nuovo eroe dell’anno si è incarnato in Stanislas Wawrinka che ha saputo far tornare in auge, quasi più del suo ben noto connazionale, il rovescio ad una mano che tanto manca a questo tennis (plagiato dalla potenza e dalla mancanza di classe e tattica).

In un tweet di qualche giorno Yves Allegro, a lavoro con la federazione svizzera per la preparazione delle giovani leve, lamentava il fatto che, pur tentando di preparare i ragazzi seguendo i precetti della vecchia scuola, questo lavoro potrebbe un giorno non pagare, perché con l’uniformità delle superfici e la supremazia della forza si sta uccidendo il tennis; un punto di vista condiviso anche da un collega italiano che ha lanciato ancora una volta l’allarme sul futuro del nostro beneamato sport. Se momentaneamente questo status quo regge, tra qualche anno dove andrà a finire il tennis?

Il rischio è quello di partite sempre più noiose e se la gente si stancasse di seguire i propri beniamini, che ripropongono sul campo la ‘solita solfa’ ma senza carisma, beh il rischio sarebbe per tutto il movimento. Una sorta di autoimplosione per la voglia di non vedere che, anche allo stato attuale dei fatti, questo andamento non giova a nessuno.

Questa off season dovremmo prenderla come momento di riflessione per il tennis: tentare di ritrovare le sue radici per evitare che alla lunga possa diventare un inutile gioco di leve. Purtroppo anche la racchetta, forse vittima della ruota della modernità, si sta lasciando mangiare dalle leggi dei grandi numeri, ma la storia ci ha insegnato già diverse volte che il solo contenuto non basta e se vogliamo continuare a godere della bellezza di questo sport (che dovrebbe innanzi tutto rappresentare un’educazione morale per chi lo pratica), dobbiamo lavorare tutti insieme perché non ne venga dimenticato il suo significato originario.

Le grida d’allarme sono tante, ma chi avrà la capacità di ascoltarle veramente? Tentiamo di farlo noi e l’invito è quello di postare il vostro desiderio da appendere al prossimo albero di Natale. Le feste sono vicine e tutti noi ci meritiamo uno sport migliore.

Il dibattito è aperto.

@SailV

Redazione

La redazione di Ok Tennis è formata da rappresentanti di tutte le minoranze tennistiche esistenti al mondo. Inoltre, è conforme alla Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen emanata il 26 agosto 1789.

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