di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
Il personaggio è noto a livello universale e voce di tantissime telecronache. Autore di oltre duemila articoli di cronache e numerose raccolte di libri. Infine, Gianni Clerici, è anche divenuto oggetto di una tesi di laurea. Federico Parodi, studente della facoltà di Scienze umanistiche di Genova, ha voluto rendere omaggio all’ex tennista ed ora giornalista, scrittore e poeta.
Centoquattordici pagine guidate dal titolo “Gianni Clerici ed il tennis: tra cronaca e racconti” in cui viene descritta nella parte introduttiva, la vita del nativo di Como: dalla decisione inamovibile di giocare a tennis all’esordio nei primi scritti saggistici, dall’incontro con Gianni Brera per un incarico alla Gazzetta dello Sport (il punto più importante dei suoi inizi come giornalista) alla pubblicazione della sua opera più famosa “500 anni di tennis”, fino ai tanti scritti narrativi e poetici.
L’elaborato è ricco di citazioni di Clerici ed ampio spazio è dedicato alla sua carriera giornalistica mentre gli ultimi due capitoli si concentrano prevalentemente sui romanzi e le poesie. A cornice di tutto ciò, ovviamente, il suo sport preferito. Il tennis per Clerici è un insieme di “gesti bianchi” (un’espressione che spesso ritorna nelle opere) segno di eleganza, rispetto e valori morali. Qualcosa che trascende dalla semplice narrazione di una partita, nonostante lui, almeno per quello che riguarda gli scritti giornalistici, si sia sempre rivolto alla cronaca.
Si cerca di rintracciare le tecniche usate dallo Scriba, i suoi pensieri, le riflessioni proposte e gli aneddoti che lo hanno reso così importante e come il tennis sia compagno di viaggio fidato, a cui non può rinunciare. Si fa riferimento all’appellativo di “Dottor Divago” che Rino Tommasi gli ha affibbiato, poiché la cronaca della partita lascia ampio spazio ad aneddoti e curiosità, non impedendo una facile comprensione dell’andamento dell’incontro.
Questa tecnica viene spesso ripresa: nel libro “Il grande tennis” del 1978, dove racconta la cavalcata azzurra verso la finale poi vinta in Cile e descrive gli attimi cruciali dei match come un romanzo, evitando numeri o statistiche; nel saggio su Wimbledon, invece, in occasione del tie-break del quarto set della finale del 1980 tra Borg e McEnroe non si cita il 18-16 conclusivo che avrebbe fatto gridare all’eroico, ma si limita a dare informazioni sulla bontà del gioco, facendo comunque capire la dimensione dell’evento. Lo stesso Clerici rivela di rifarsi ai metodi della scrittura automatica dei futuristi: «Inizio come se fosse una lettera, un’annotazione, e poi tutto viene da sé».
Nel capitolo “tra cronaca e storia” compare il grande capolavoro: “500 anni di tennis” (prima edizione 1974) che racchiude la sua bellezza nel voler ricercare origini di questo sport ben più indietro del 1800, fino all’età classica. Si parte addirittura dai romani Marziale, Ovidio e Petronio. Poi via via fino ai giorni nostri in un continuo susseguirsi di informazioni che denotano con quale cura abbia prodotto quest opera, iniziata nei primi anni ’50 quando soggiornava a Londra come inviato de “Il Giorno”.
Non sempre Clerici ha proposto riflessioni positive, così in “Wimbledon. Sessant’anni di storia del più importante torneo del mondo” (2013) si nota il suo lato critico verso gli spettatori italiani (già messo in risalto durante il saggio “Gianni Clerici agli Internazionali d’Italia”) ed il loro comportamento ben poco consono alla sacralità del campo centrale nella sfida tra Panatta e Burpe. In “Divina. Suzanne Lenglen, la più grande tennista del XX secolo” (prima edizione 2000) invece esce fuori la passione e l’affetto che provava per la tennista francese in una biografia romanzata.
Nel capitolo sui racconti il tennis acquisisce un ruolo più marginale, ma allo stesso tempo è il fedele compagno di avventure. Una sorta di “attore non protagonista” che però accompagna sempre la narrazione. In “Zoo. Storie di bipedi ed altri animali” (2006) composta da diciotto brevi racconti introdotti da una citazione di Konrad Lorentz («La strada per la comprensione dell’uomo passa attraverso la comprensione dell’animale»). Il continuo utilizzo dell’iperbole ironizza alcune figure umane grottesche, differenziate dagli animali solamente perché bipedi anziché quadrupedi. E’ particolare il racconto “Un tennista di razza”, dove Clerici mostra la sua idea di “razzista al contrario”: preferenza alle persone di colore poiché hanno dovuto soffrire nel corso della storia una supremazia fittizia da parte dei «poveri bianchi», come andava definendoli.
Nella sezione sui romanzi, il tennis, un incontro di Coppa Davis tra Italia e l’allora Cecoslovacchia, è il pretesto per poi produrre un diario sulla situazione politica e sociale del paese ospitante (“Erba rossa”, del 2004) ed occasione per allacciare e riallacciare rapporti con persone nuove, come il banchiere Wooldridge, o vecchi amici persi a causa della seconda guerra mondiale, come i soci del circolo Parioli (“Australia Felix”, del 2012). Elemento importante di questi componimenti è sempre la voce narrante, personificata dallo stesso autore. Solo in Australia Felix il protagonista è diverso (Glauco Levi), ma intervistato proprio da Clerici.
Ultima fase dell’elaborato è la sezione sulla poesia, dove la differenza rispetto alle altre opere sta nell’abbandono dell’ironia e nella scelta di parole dolci. Gli scritti poetici sono allo stesso livello dei suoi articoli sul tennis: li accomuna l’eleganza del gioco e dei suoi versi.
Si scopre che Clerici teneva così tanto ai suoi versi da volerli pubblicare come opera postuma grazie alla figlia Carlotta, ma nel 2005 uscì la sua prima raccolta, intitolata “Postumo in vita” proprio per la sua idea, poi accantonata. Nella sezione dedicata al tennis de “Il suono del colore”, del 2011, delle quindici liriche solo cinque sono novità rispetto alla raccolta precedente. Spiccano soprattutto liriche su Suzanne Lenglen e Venus Williams, che suscitavano in lui una fortissima attrazione.
Lo stile di Gianni Clerici è talmente diverso da quello degli altri suoi colleghi che col tempo la sua fama è aumentata in maniera sconfinata, tanto da ricevere il grande onore di entrare nel 2006 nella International Tennis Hall of Fame di Newport (unico cronista non americano a riuscirci, oltre ad essere l’unico italiano ad eccezione di Nicola Pietrangeli).
Un lavoro di ricerca ed analisi molto approfondito, frutto anche del soggetto che si andava ad analizzare. Gianni Clerici è, da questo punto di vista, un pozzo di conoscenza inesauribile, che continua ad oggi a raccontare il tennis alla sua maniera: poca statistica e tanta passione, inizia «come se fosse una lettera, un’annotazione, e poi tutto viene da sé».