La stagione di Flavia Pennetta si può definire più che positiva. Nonostante le difficoltà dopo il brutto infortunio, l’inaspettata semifinale agli Us Open che l’ha rilanciata tra le grandi del tennis.
Di Lorenza Paolucci
Il 2013 di Flavia Pennetta si è chiuso ad Osaka (almeno per quanto riguarda la stagione in singolare), con la brutta sconfitta contro Vania King, causata però più dal virus che l’ha colpita nei giorni precedenti all’incontro e che non le ha permesso di giocare al meglio, che dai colpi dell’avversaria.
Ora la ritroveremo nella finale di Fed Cup a Cagliari il 2 e 3 novembre, dove insieme alle compagne di sempre tenterà l’assalto al quarto titolo iridato, staremo a vedere se da panchinara o da protagonista, il ruolo che meglio le riesce.
Guardando al cammino personale, la stagione appena conclusasi sancisce il ritorno dell’ azzurra tra le grandi del tennis dopo il grave infortunio al polso destro, e pensare che qualche mese fa meditava il ritiro. Fuori dalle prime 100, le vittorie che non arrivavano, la difficile ricerca del suo tennis che veniva fuori a sprazzi, la mancanza di fiducia e il timore di non tornare più ai livelli di un tempo, le avevano insinuato il dubbio che forse sarebbe stato meglio dire basta orgogliosa di una carriera ricca di soddisfazioni.
E’ bastato però il profumo del cemento americano per risvegliare antiche sensazioni, nel braccio e nella mente. Sui campi di Flushing Meadows Flavia è risorta, come l’araba fenice, conquistando la sua prima semifnale Slam nel macth contro l’amica Roberta Vinci e riuscendo a piazzare la zampata decisiva per raddrizzare una stagione che sembrava la stesse portando sulla via del tramonto.
Lo scorso anno gli Us open li aveva seguiti dalla casa natale, con lo scafo lunare appena ricucito dai luminari catalani, applaudendo le compagne di Fed cup Errani-Vinci che davano vita ad uno storico derby in terra americana.
Quest’anno invece, a 365 giorni dalla delicata operazione al polso, si è ripresa la scena, il ruolo di prima donna, le copertine, usurpatele in questi anni dalle colleghe, dove si sa le piace stare, a patto però che si parli solo dei suoi successi professionali. A 31 anni e nel momento più difficile della sua storia sportiva, la tennista brindisina ha raggiunto forse il traguardo più prestigioso della sua carriera, che meritava da tanto ma che era sempre riuscita a mancare e che nel suo palmares lasciava un posto drasticamente vuoto. Giusto conquistarlo nel più importante torneo sul cemento, lei che ha sempre dimostrato di essere un passo avanti alle connazionali sulle superfici veloci.
Flavia risponde così a chi la rimproverava di essere poco concreta nelle occasioni che contano, c’è sempre stato più il talento della campionessa che la testa, dicevano in tanti. La rinascita, ha spiegato la stessa tennista azzurra, è passata dagli ottavi di Wimbledon ed in particolare dalla crisi di panico che l’ha colpita nel match di terzo turno contro la Cornet, nonchè dalla vicinanza degli affetti, la famiglia, gli amici, il fidanzato.
Anche la separazione dal coach storico Garbriel Urpi non è stata poi così dannosa, anzi Salvador Navarro è riuscito a tirare fuori dal repertorio dell’ italiana ciò che Urpi sembrava non essere mai riuscito a trovare, assuefatto forse da un rapporto d’affetto che superava quello professionale. Il gioco sfoggiato da Flavia a New York è forse il migliore della sua carriera, apparso più vario, concreto, supportato da gioco a rete e da un’ importante intelligenza tattica. Anche l’addio dell’amica e compagna di doppio Gisela Dulko sembra averla alleggerita dal dovere di spremersi troppo in quella che è la meno nobile delle discpline tennistiche, per dedicarsi a ciò che meglio sa fare.
La classifica ora la vede n.32 del mondo, allontanando lo spettro di un imminente ritiro, e avvicinando la certezza che almeno per un altro anno la rivedremo in pista, dopo di che un congedo sarebbe più che lecito.
Peccato per il WTA di Osaka, dove un grande risultato le avrebbe migliorato di molto il ranking mondiale, ma ciò che conta è che sia tornata e che lo abbia fatto in grande stile, e l’impressione è che non sia finita qui.
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