La passione ci fa amare qualcosa fino a soffrirne, ma è il sale dell’esistenza ed è alla base del successo. L’ennesima dimostra—zione poco tempo fa, nel Sud Sardegna al Forte Village. Il miglior resort al mondo, frequentato da maestri di tennis proporzionati al luogo. Tra loro, l’icona Pat Cash, sempre fisicatissimo e sempre con fascia a scacchi. Lo avevo già incontrato qui in occasione di un precedente suo stage, ma vale sempre la pena far quattro chiacchiere con lui, in quanto arguto, mai banale e – contrariamente alla fama che lo insegue – molto disponibile. Ci vediamo il giorno dopo la sua esibizione contro il Career Slam di doppio Paul Haaruis. Pat arriva puntuale e durante i convenevoli mi racconta di come si senta distrutto per via delle due ore trascorse sul campo (vittoria in tre) il giorno precedente. Ha con sé la racchetta e me la mostra con orgoglio. Ne magnifica il bilanciamento “aggressivo” e la sensazione di stabilità che gli trasmette. Poi butta un’occhiata sulla mia e storce il naso. Lapidario: non puoi circolare con quel catorcio, dovresti provare questa, tutta un’altra musica. Probabilmente ha ragione, ma il punto è un altro. Quello che mi sorprende è la sua totale devozione per lo sport che lo ha reso famoso. Un mito del tennis, campione di Slam e universalmente noto come scontroso e scostante, è lì a disquisire con passione di racchette e relative sensazioni. Registriamo l’intervista per Sky e poi torniamo sull’argomento. Apprezza il mio interesse in merito (dopotutto chi non è alla ricerca della racchetta perfetta, quella che gioca da sola…) e insiste perché provi la sua. Insiste, incalza. Arriva a proporsi lui stesso per qualche scambio. Con me. Ma, non era stanco? Scena: il campione di Wimbledon ’87 che invita a fare due palle il campione di Poggio Mirteto ’87. Se non è passione (cieca) questa…
Scambio di racchette, lui con la mia (durante il palleggio continuerà a dileggiarla), io con la sua, che in effetti spinge bene. Più pesante, stabile, rigida e performante della mia. In breve, una racchetta da giocatore vero. Perciò palesemente inadatta a me. Comunque mi godo il momento e dopo poco eccomi nei pressi della rete. Il ritmo cresce, mi paiono attimi di eterno. Un quarto d’ora fa si diceva dolorante e impossibilitato al tennis, ora è arrazzato e mi spara pallettate addosso di qua e di là. «Aspetta un attimo, fammi vedere bene quella voleé… No, non così. Finisci il movimento in avanti, non in basso!». Si avvicina alla rete per correggermi l’esecuzione. Cash l’antipatico, lo scontroso, il cafone, è qui che mi impartisce una lezione (volontaria, gratuita e illuminante) su come si gioca al volo di rovescio. Posso garantire che lui, nella specialità, è ancora inarrivabile. Torna a fondo campo e continua a mettere alla prova la mia volleata sinistra. Per l’intervista si era presentato in nero, ci sono 35 gradi, ormai suda copiosamente. Io pure, ma lui è Cash, perbacco. Ultimiamo la seduta, ribadisce il discorso racchetta. Annuisco. Passa di lì il figlio 15enne di Haaruis. «Gioca un po’ con lui, adesso. E non dimenticare quel che ti ho detto!». Pretende che continui ad usare il suo attrezzo, glielo riconsegnerò in serata. Quasi commosso, lo saluto e ringrazio: «Pat, è la terza volta che ci vediamo. Quando mi regalerai una delle tue bandane a scacchi?». Indossa la sola che ha con sé, mi chiede se vada bene pure sudata. Urca, è un plusvalore. Torna dopo qualche minuto con la sua fascetta autografata. Sopra c’è scritto: “A Stefano, grazie per aver giocato con me. Buona fortuna. Pat Cash”. Ora, io sarò pure un inguaribile romantico e nostalgico dei tempi andati, ma personaggi così non ce ne sono in giro tanti. A me sembra soprattutto una bella storia di passione per lo sport. Un grande del tennis che a 50 anni, pure acciaccato, non riesce proprio a risparmiarsi, né a disinnamorarsi del gioco, tanto da provare comunque piacere nell’essere in campo a spiegare tennis dopo aver discusso di tennis. Accade essenzialmente per passione. Senza la quale non si vince Wimbledon. Anzi, non si va proprio da nessuna parte.
P.S. Se non ci credete, cercate Mel&Pat su Youtube: ho le prove!
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