E’ dura parlare di miracoli senza sembrare blasfemi, benché come parola sia una delle usate, inflazionate e abusate dell’intero vocabolario di qualsiasi lingua presente nel mondo. Anche la definizione stessa non è che sia esattamente capibile, un po’ contorta c’è.Si definisce miracolo “un evento a volte attestato, a volte asserito, difficilmente spiegabile secondo cause conosciute,
e quindi attribuito a qualche causa paranormale, e specificamente ad un intervento soprannaturale o divino, e che appare svolgersi in contrasto con le leggi naturali”. Chiaro? No? Tranquilli. Un modo per afferrare meglio la definizione stessa di miracolo c’è. Nel tennis. E si chiama Rafa Nadal.
Per essere più precisi, non è tanto il giocatore in sé a far inginocchiare e gridare “Alleluja!” in perfetto stile gospel tifosi e addetti i lavori (la classe dell’ex n.1 del mondo la conosciamo tutti), ma quanto fatto dallo spagnolo dal suo rientro, avvenuto a febbraio a Vina del Mar, ad oggi. In questi quattro mesetti scarsi, Nadal ha vinto qualcosa come 6 tornei (sei) su 8 (otto) disputati con sole due partite perse, entrambe in finale tra l’altro, contro Djokovic a Montecarlo e contro Zeballos (!) a Vina del Mar. Di questi 6 tornei, 3 sono dei Masters 1000 (Indian Welles, Madrid e Roma, Miami l’ha saltato), conquistando il n.1 della Race 2013 pur avendo saltato l’Australian Open (2000 punti, prego). Soprattutto Rafa ha fatto tutto questo dopo essere stato fermo 6 mesi per l’ormai celebre sindrome di Hoffa, roba sconosciuta fino a poco tempo fa ma che lui ha riportato agli onori della cronaca in maniera così violenta che ormai tutti sanno tutto su questa malattia a livelli quasi maniacali, sicuramente scientifici, tanto da poter tenere una conferenza mondiale senza alcun problema. Questo anche perché il maiorchino e il suo staff ad ogni intervista, ad ogni dichiarazione e ogni santo giorno facevano sapere al mondo intero come stavano le cose. Ogni tanto usciva la frase “basta, del mio ginocchio non parlo più”, per poi ricominciarne a parlare in giorno dopo. “Per chiarezza”, ovviamente. Ma questo è un altro discorso che c’entra relativamente.
Il rientro così violento e straripante di Nadal è così miracoloso, in fondo in fondo? La risposta è: sì. Senza possibilità di smentita. A mia memoria, anche se non sono così vecchio in fondo in fondo, non ricordo nemmeno qualcosa di lontanamente paragonabile dopo uno stop così lungo. E anche colleghi sicuramente più anziani e certamente più esperti, venerabili e famosi del sottoscritto, faticano (eccome) a trovarne. Certo, in campo femminile c’è l’esempio della Cljisters nel 2009, che rientrò e dopo uno o due tornei di riscaldamento vinse senza alcun problema l’Us Open, ma (con tutto il rispetto) quello è tennis femminile e il livello Wta nel 2009, se vogliamo era ancora più basso di quello attuale.
Detto questo, di rientri dopo lunghe pausa ne abbiamo visti eccome, ma così vincenti (tutto e subito) negli ultimi anni mai. Anche tra le donne, a Serena Williams ci volevano dei mesi prima di rodare la macchina e tornare a vincere (nel 2011, a Wimbledon, ad esempio, perse dalla Bartoli). La Sharapova ci ha messo anni prima di tornare la giocatrice che era, e per tornarci ha dovuto modificare il suo essere giocatrice stessa. E stiamo parlando di femminile e di due assoluti fenomeni. In campo maschile, Del Potro non si è ancora ripreso del tutto dall’infortunio al polso che nel 2010 lo tenne lontano dai campi praticamente un anno, e passò il 2011 a scalare le classifiche da numero 400 del mondo o giù di lì. E l’argentino, seppur non essendo un campionissimo come Nadal, ancora oggi non è tornato al suo precedente livello. Ma l’esempio più lampante della straordinarietà del rientro di Nadal è paradossalmente Nadal stesso. Nel 2009, dopo la sconfitta contro Robin Soderling (l’unica) a Parigi, saltò Wimbledon e rientrò a Montreal dopo 70 giorni di stop (quindi, due mesi) perdendo con Del Potro ai quarti di finale. Dopo, prese alcune brutte, bruttissime stese per il resto dell’anno, con figure al limite dell’imbarazzante in certi casi (a Londra, alle Finals, perse 3 partite su 3). Certo, erano tornei cemento o indoor e non sull’amata terra battuta, ma per fare un paragone con quest’anno, non risulta che Indian Wells si sia trasferito sul rosso.
Ma quel che stupisce davvero non sono (solo) i risultati, i tornei vinti e le finali conquistati, quanto la sbalorditiva resistenza fisica dello spagnolo dopo uno stop così lungo. Su 16 settimane (febbraio-marzo-aprile-maggio) Nadal è stato in campo la metà del tempo, 8, arrivando sempre in finale. In questo mese è sceso in campo per due settimane di fila in due Masters 1000 (Madrid e Roma) vincendoli entrambi e non risentendo minimamente della fatica (come, ad esempio, è successo a tutti gli altri: Wawrinka è arrivato in Italia morto, alzando bandiera bianca quasi subito). Ora, come volete chiamare tutti questi numeri, tutte queste imprese, tutte queste vittorie? Miracolo? Certo.
PS personalissimo: Ho odiato la finale di Roma. Non per il risultato (ci mancherebbe) ma perché è staro devastante vedere come siano passati 7 anni senza rendersene conto. E soprattutto, cosa ancora più grave, Nadal-Federer 2013 a Foro ha in un certo senso infangato quella splendida, indimenticabile, irripetibile sfida nel 2006. Il che è quasi imperdonabile.
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