Non è stata la più forte, forse la più grande se per “grandezza sportiva” s’intende la capacità di entrare nel cuore della gente, di farsi riconoscere e ricordare, e di lasciare qualcosa di sé alla storia dello sport che si è praticato. E Lea Pericoli, spirito libero, al tennis ha lasciato molto, e in molti modi. Con la sua attività di giornalista (“professionista” le piaceva ricordare, imitando il tono di voce impostato di alcuni suoi colleghi), i suoi articoli sulla moda, che conosceva meglio del tennis, come commentatrice in tivù e presentatrice di programmi di intrattenimento, negli ultimi anni come scrittrice di libri. Anche in campo, malgrado non fosse lo stile di gioco la parte migliore di sé. Tecnicamente Lea non possedeva i colpi delle grandi tenniste degli anni Cinquanta e Sessanta. Il suo tennis cercava soluzioni diverse, i lunghi scambi, i lob. Ma era combattiva, grandissima agonista, indomabile nello spirito e aveva buone gambe da corsa. Quello stesso spirito che la poneva, nel circuito, al centro dell’attenzione, indispensabile amica, conosciuta da tutti.
«Chi ha vissuto così a lungo in Africa come me, finisce per avere una visione della vita improntata ai grandi spazi aperti, ai cieli immensi», mi disse una volta a cena, raccontando della sua nascita milanese scoperta solo dopo il trasferimento in Africa con la famiglia, dietro al lavoro del padre. «Davvero, pensavo di essere nata lì, bianca fra i neri». In Africa imparò a giocare a tennis, nella piccola comunità internazionale dei benestanti di Addis Abeba, i coloni si facevano chiamare, che potevano permettersi di costruire campi e assoldare buoni maestri fatti venire lì per loro. Ma il tennis non fu mai, per Lea, una tessera di appartenenza sociale. Piuttosto, fu il suo modo di esprimere la gioia di vivere, forse la sua dote migliore, una password per entrare subito nel cuore di tutti. Fu la tennista preferita dai tabloid inglesi, nel giorno dell’inaugurazione dei Championships una sua foto fra piume e pizzi non mancava mai, tanto più che quegli abiti erano firmati da un grande stilista amico di Wimbledon, come Ted Tinling. Alcuni di essi, tra i più osé, sono esposti al Victoria and Albert Museum di Londra, con il suo nome in bella mostra.
Malgrado il gioco non fosse il suo forte, i risultati non mancarono. Negli Slam europei Lea faceva sentire la sua presenza, non era facile affrontarla, tanto meno batterla. Sconfisse, fra le altre, anche Billie Jean King. E in doppio trovò una curiosa alleanza con Silvana Lazzarino, che aveva né più né meno le sue stesse doti tecniche. Insieme si esaltavano, e finivano per dare vita a una coppia che valeva molto più di quanto le due ragazze eccellessero in singolare. Parigi 1955 il primo, Wimbledon 1975 l’ultimo… Ventuno anni di tornei del Grand Slam. Forse Lea non ebbe acuti particolari, ma nessun’altra tennista italiana ha affrontato il grande circuito internazionale con la stessa voglia, la determinazione, le sue stesse motivazioni. Superò la Durr a Parigi nel 1960, poi la Seghers nel 1962, e a Wimbledon la Sheriff nel 1965 e la Graebner nel 1969: grandi avversarie, contro le quali la sfida tennistica travalicava il campo per offrire al pubblico uno spettacolo più simile a una passerella. Splendide mises, gesti mai spericolati, un tennis comprensibile a tutti. Gli ottavi a Parigi nel 1960 (battuta da Reynolds, 61 62), poi nel 1964 (Margaret Smith, 75 61), e ancora a Wimbledon nel 1965 (sconfitta dalla Turner, 60 64), nel 1967 e nel 1969 (sempre fermata d Billie JeanKing). Sono le perle della sua lunghissima carriera, che l’ha vista una volta anche al via degli Australian Championships, nel 1965. Anche in doppio Lea giunse due volte negli ottavi, nel 1969 a Wimbledon al fianco di Rosa Reyes Darmon, e nel 1971 al Roland Garros con Pam Teeguarden.
Fu Monte Carlo, nel circuito internazionale, il torneo di riferimento per Lea. La vittoria in singolare giunse nel 1962 sulla canadese Ann Barclay (63 75), poi vennero anche le finali in doppio, cinque in tutto (due le vittorie), le prime quattro con Silvana Lazzarino, l’ultima con Lucia Bassi. Il capitolo più lungo appartiene però agli Internazionali d’Italia, e comincia nel 1954, diciannovenne, con un match impari opposta alla favoritissima Maureen Connolly, terminato 62 61. Ma già dal 1955 Lea è negli ottavi, e da quella stagione, fino al 1975, che fu l’ultimo anno che la vide in gara a Roma, Lea fu tredici volte fra le ultime sedici del tabellone, per muovere da lì verso la semifinale del 1967 (battuta dalla Bueno, 62 60), e i quarti del 1959, del 1962 e ancora del 1969 e del 1971.
Ancor più vicina alla vittoria, Lea giunse in doppio. Cinque volte in finale, di cui quattro consecutive, ma senza mai trovare il colpo risolutore per conquistare il titolo nel maggior torneo italiano.
A completare il quadro, le nove edizioni della Fed Cup, che la vide in campo sin dalla prima occasione, 1963, anno del primo torneo. E i 27 titoli, fra singolo, doppio e doppio misto agli Assoluti. Lea è la recordwoman del tennis italiano, e lo resterà per sempre. Dieci titoli in singolare, 11 di doppio, 6 di doppio misto, che nell’ultimo anno (il 1975) la vide accanto ad Adriano Panatta, molto amico anche della sorella di Lea.
Quando ha lasciato l’attività agonistica, Lea già scriveva per Il Giornale, con cui aveva aperto una collaborazione dal 1974. Indro Montanelli la riteneva bravissima negli articoli di cronaca mondana. Fu commentatrice di tennis su TeleMontecarlo, sulla Rai e su La7, e conduttrice di programmi come “Paroliamo” )1977, in onda su Telemontecarlo) e “Caccia al Tesoro”, con la partecipazione di Jocelyn e Brando Quilici (1979, Rai). È stata per anni la “voce” degli Internazionali, l’intervistatrice ufficiale dei vincitori del torneo. Ha inoltre realizzato i programmi televisivi “Moda Boom” e “Monaco mon amour”. Ha sconfitto due volte il tumore, lei diceva… «Ci gioco a tennis e lo batto». Nel 1976 ha dato alle stampe “Questa bellissima vita”, un libro autobiografico pubblicato da La Sorgente. Del marzo 2007, per i tipi della Rizzoli, è uscito invece il fortunato “C’era una volta il tennis”, la biografia di Nicola Pietrangeli scritta in forma di intervista dalla sua migliore amica.
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