Sinner, come in un film, vince sempre il buono

Io quella scena l’ho già vista. Al cinema. Era il 1964 e facevamo la fila per “Un pugno di dollari”. C’era chi provava a nascondersi tra le poltrone per vederlo due volte di seguito. Io… La scena finale era superba, l’eroe piegava le gambe sotto i colpi della carabina Winchester di Ramon Rojo, ma non moriva, si rialzava, di continuo, cinque, sei volte di seguito. «Che ti succede, Ramon, ti trema la mano?»…

Vabbè, dai, la pianto qui. Ma che posso farci se certe immagini salgono su all’improvviso da chissà dove, solo per il gusto di sovrapporsi a quelle che stai guardando? Sinner nei panni di Joe, e dunque Clint Eastwood… Mica male, eh? E Ben “faccia da impunito” Shelton, che svuota rapido la sua dotazione di cartucce, come Ramon, interpretato da Gian Maria Volonté. Mancava la colonna sonora di Ennio Morricone, ma dite, si può avere tutto?

Una scena così te l’aspetti alla fine del film, ma quei due (i due della realtà, intendo, Jan e Ben) l’hanno proposta subito, nei primi giochi del set d’avvio. E se c’è un perché, tranquilli, va a onore del nostro, del Sinner senza fine di queste giornate, che se lo mandi giù, più si tira su. Il Sinner che ha tutti gli occhi puntati addosso, perché il tennis (inteso nella sua più larga accezione) si sta interrogando su come faccia, quali siano i segreti, e come sia meglio opporsi a tanta irruente prepotenza concentrata su un’unica racchetta. E allora c’è chi, come Shelton, sceglie di svuotargli subito il caricatore addosso. Hai visto mai? Magari lo becco al primo colpo, di striscio, o di rimbalzo, e lo obbligo a proseguire sotto la scorta dei cattivi pensieri, furioso per essersi fatto sorprendere, avrà pensato l’americano, chissà se da solo o in connubio con papà Bryan, che certo ai suoi tempi non veniva riconosciuto come uno stratega sopraffino, e nemmeno come un intellettuale del tennis.

Così, Ben ha progettato di andare in fuga su uno dei primi due servizi di Sinner, quelli giocati ancora a freddo. Ci ha provato sul primo, senza colpo ferire, ma sul secondo (2-1 avanti l’americano) ci è andato vicino, è schizzato avanti 15-40 e Sinner l’ha rimontato, ma Ben ha avuto altre due palle break. Con bravura, Jannik ha tenuto botta, non ha commesso l’errore di sentirsi spacciato, ha affrontato a viso aperto le conseguenze di quell’attacco e ne è venuto a capo riprendendosi il game al dodicesimo punto. La corazza ha tenuto. Quella mentale ancora di più. Sono i vantaggi delle certezze intervenute nel tennis dell’italiano, che oggi affronta con sicurezza ogni momento dei propri match, anche nelle partiture più complicate, quelle che lo tengono in bilico a un passo dallo strapiombo.

Nel game successivo, per tutta risposta, è stato Sinner a centrare il primo break del match e a condurre fino al 5-3. Ma Shelton è un ragazzo coraggioso, si sa, e si è fatto in quattro per pareggiare le sorti. Vi è riuscito riportandosi sul 5 pari e agganciando il tie break. Ha ripreso ancora una volta Sinner, che si era staccato fino al 4-1, e lì ha capito che era troppo, davvero troppo anche per uno generoso come lui. Ha deposto le armi e ha decretato la fine del match. Nel secondo set è rimasto in campo solo Clint Sinner, l’Eastwood “de noantri” appassionati di tennis.

Diciottesima vittoria di fila, e siamo ai quarti. Si entra nella fase più complessa, che chissà quali altri film finirà per suggerirci. Sinner e l’invasione degli ultracorpi tennistici? Carota meccanica? Mezzogiorno e mezzo di tennis, con Sinner contro Eddie Lamarr e i suoi gaglioffi? Cito a memoria…  “La mia mente è attraversata da un turbine vorticoso di pensieri scintillanti”… “Quanta poesia, mister Lamarr. Lei sa usare la lingua meglio di una zoccola da venti dollari!”.

È lecito scherzare, ma c’è un dato serio che emerge da questo match con il giovane Shelton, che pure è giunto al terzo appuntamento con Sinner in buonissime condizioni di forma e con il carico di una vittoria non troppo lontana nel tempo (a Shanghai. Lo scorso ottobre) e certo non ancora dimenticata dal nostro. C’è che il tennis di Jannik si è come espanso, venendo a capo di molte situazioni che prima lasciavano tracce preoccupate nel suo gioco, e ora il livello del nostro – per alcuni dei suoi inseguitori – sembra davvero troppo alto, tale da renderlo immune ai loro tentativi. Vi porto un unico esempio, tratto dal match giocato nella notte italiana. Shelton ha colpito la prima di servizio fino a farla viaggiare a 224 orari, Sinner si è mantenuto a buon livello, undici chilometri sotto, 213 orari. Ma nella media dei primi servizi Jannik è avanti, 195 orari a 193. «Con i migliori devi giocare sempre in termini aggressivi. Lo fanno loro, e lo devo fare anch’io. Se mi sono preparato bene, nella testa, nella tattica, nel tennis, il risultato è importante fino a un certo punto. In questo periodo mi capita di vincere spesso ed è una sensazione che mi rende felice, ma al dunque è il lavoro che c’è dietro a saziarmi di più, perché comunque vada, è da esso che dipendo», dice Jan, ricordando una delle tematiche fisse alle quali è più devoto.

Il seguito si chiama Lehecka, Jiri, detto Lehy, allievo dell’antico centro di Prostejov, scuola di decine di campioni. Padre nuotatore, madre professionista nell’atletica leggera. Ventidue anni, best ranking al numero 23, oggi 32 (ma in risalita), Jiri ha affrontato Jannik solo una volta, a livello challenger, perdendo. Negli ottavi ha spazzato via Tsitsipas, e forse ha fatto un piacere al nostro. Ora, però, occorre batterlo. Il rendez vous con Alcaraz è a un passo.

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