Australian Open

Djokovic non è finito ma perderà sempre di più (e c’è un mistero)

Inizia sempre così e non te ne rendi conto, o se te ne rendi conto non vuoi accettarlo. Arrivi sulla palla quel decimo di secondo di troppo, chi è dall’altra parte della rete ti rimanda indietro tutto o quasi perché i tuoi colpi non fanno male come una volta, e cosa peggiore non hai più quel controllo, assoluto e tirannico, di quello che accade in campo. E’ iniziato così per tutti i più grandi, e sembra arrivato il momento di provare quella sensazione anche per Novak Djokovic.

Il più forte giocatore della storia di questo sport, quantomeno di sicuro il più vincente, con i suoi record sovrumani. Nole è seduto ancora al tavolo del ristorante dei migliori di questo sport, anzi probabilmente è ancora lui il migliore dei commensali, ma a differenza degli altri, sa che il conto per lui sta arrivando, il cameriere lo sta prendendo dalla cassa, e non tarderà troppo ad arrivare.  Djokovic è già un miracolo per davvero, per quello che è riuscito a fare non fino a chissà quanto tempo fa, ma parliamo di uno che nel 2023 ha chiuso al numero uno del mondo, ha vinto 3 slam, le Finals ed è arrivato in fondo anche a Wimbledon, dove ha perso con Alcaraz. Umano, molto umano, persino Nole lo è: banalmente nulla è per sempre e nello sport quel per sempre è accorciato a un tempo ancora minore a molte delle attività della vita. 

Certo nessuno si aspettava un crollo così, da parte di Nole. I primi due set della semifinale, al netto di tutti i grandi meriti di Sinner, sono stati troppo brutti per essere vero. Forse la colpa, come si vocifera già da qualche giorno, è stato anche di un virus, con i serbi che ieri, dopo la fine della partite, hanno apertamente detto che Djokovic è da 10 giorni che combatte con una brutta forma di influenza, che seppur passata lo ha debilitato, e non poco, nel corso di tutto il torneo. Senza dimenticare i problemi fisici, al gomito che lo tormenta da anni soprattutto, che non gli hanno permesso di essere al meglio. Ma anche qui è nella naturale evoluzione dell’invincibilità, quella sportiva in primis: ad una certa età fai fatica a recuperare, ti porti dietro gli acciacchi di una carriera, recuperare da una partita all’altra non è più così facile. E anche in questo caso, a 37 anni quasi, l’unica cosa che puoi fare è sederti e aspettare il conto. Salato, senza dubbio.

Luigi Ansaloni

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