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Una stretta di mano negata in tempo di guerra agita i più sonnolenti

La questione doveva arrivare, sarebbe arrivata, e puntualmente ieri al termine della semifinale tra Anhelina Kalinina e Veronika Kudermetova ecco che ci si è posta davanti agli occhi.

Nuda e cruda, come la realtà attuale. Kalinina non ha stretto la mano a Kudermetova. Apriti cielo.

Il tennis è uno sport che vive di tradizioni, nato in termini apparentemente nobili, giocato da ricchi e tramandato ai poveri in un vortice sociale abbastanza curioso e nel tempo divenuto sempre più popolare. Ci sono sempre più giocatori e giocatrici da vari angoli del globo. Una tennista della Papua Nuova Guinea, Abigail Tere Apisah, arrivò a un solo game dal qualificarsi per il tabellone principale dell’Australian Open 2018. Sempre più appassionati che per interesse maniacale o solo divertimento si sono avvicinati a un campo da tennis.

Il fair play è sacro, il rispetto è dovuto. Tutto molto semplice e lineare. Si gioca, ci da la mano a fine partita. Ma è pur sempre e solo sport. L’idea che questo possa evadere, in un certo senso, dalla realtà del giorno d’oggi è piuttosto ingenuo. Così quando, come ampiamente prevedibile, Kalinina è andata diretta verso l’arbitro e a salutare il pubblico, non tutti hanno capito. O hanno proprio frainteso.

Siamo cresciuti, più o meno, nel mito che ‘sport e politica non si mischiano’. Una favoletta in confronto a quanto avviene ora. Vladimir Putin, iniziata l’invasione in Ucraina, ha voluto farsi forza anche con figure di atleti che sfilavano con lui sul palco allestito dentro lo stadio Luzhniki di Mosca e celebravano il paese. Squadre di hockey (SKA Neftyanik, Dinamo Mosca, Vodnik e Kuzbas) disposte a raffigurare al centro del campo la ‘Z’, simbolo dell’esercito russo e dei crimini di guerra attuati in oltre un anno in Ucraina. Adddirittura, è stato organizzato un torneo di tennis under-15 per celebrare un militare della Wagner morto in Ucraina. Alcuni dei volti più celebri a livello globale dello sport russo, Alex Ovechkin e Yelena Ysinbayeva, sono noti estimatori del presidente russo. Il giocatore di hockey nel 2017 ha fondato un movimento a favore della diffusione della sua politica in vista delle elezioni 2018 (il ‘PutinTeam’) a cui si è unita la stessa Ysinbayeva, che ha fatto visite ai militari russi come nel 2016 in Siria e ora è membro del Comitato Olimpico Internazionale, lo stesso che vuole riammettere russi e bielorussi alle Olimpiadi di Parigi 2024 e sta creando ulteriori problemi nelle relazioni tra atleti in ambito sportivo.

In tutto ciò, a livello ufficiale o pubblico, nessun tennista si è apertamente espresso a favore delle azioni recenti di Putin tranne forse Anastasia Gasanova che ha sorpreso con le sue uscite lo scorso ottobre dove attaccava duramente gli ucraini che celebravano l’attacco al ponte di Kerch, che collega Russia e Crimea, voluto proprio da Putin per celebrare l’annessione della regione ucraina nel 2014. Gasanova tra l’altro ha vissuto a Kyiv fino a dicembre 2021, si allenava in un’accademia del posto, ha fatto il vaccino anti-covid in Ucraina e a fine febbraio 2022 partecipava a una manifestazione a Lione piena di bandiere ucraine. Vitalia Diatchenko invece, recentemente denunciava la compagnia area polacca LOT per non averla fatta imbarcare su un volo per via del suo passaporto chiedendo la fine di questioni politiche, nazismo e razzismo ma nel marzo 2014 lodava Putin e celebrava l’annessione della Crimea. La UEFA, massimo organo del calcio europeo, ha messo il divieto fin da allora a squadre ucraine e russe di essere sorteggiate assieme proprio per evitare problemi di varia natura.

Nel tennis ci lamentiamo per una non stretta di mano in tempo di guerra. Fa abbastanza sorridere quanto tutto ciò sia materialistico e futile nel grande schema delle cose. Kalinina potrebbe anche non provare nulla di male verso la persona Kudermetova, ma l’immagine sarebbe di una ucraina che stringe la mano a una russa e, chissà, le dice “bella partita”. Sarebbe un gran gesto in un tentativo di distensione, ma realisticamente ora non c’è alcun presupposto perché possa succedere. Eva Lys, tennista tedesca ma nata a Kyiv, ha raccontato appena una decina di giorni dopo l’inizio dell’invasione di come molti tennisti russi avessero atteggiamenti provocatori verso gli ucraini nel dietro le quinte di un torneo ITF combined a Nur Sultan (Astana). Barbora Krejcikova non più tardi di un mese fa denunciava di avvertire quella stessa tensione che Iga Swiatek, a Indian Wells, aveva posto davanti ai giornalisti per la prima volta nel periodo in cui scoppiò il caso di Lesia Tsurenko. Non solo, Krejcikova disse anche lei di atteggiamenti provocatori da parte di alcune russe e di come fossero loro a creare questo clima.

Noi, nel frattempo, ci indigniamo per una non stretta di mano in tempo di guerra. Eppure le ucraine da tempo hanno reso chiaro che finché la situazione nel loro paese andrà avanti si rifiuteranno di compiere questo gesto. C’è chi la vive con tanta emotività come Marta Kostyuk, fortemente trascinata fin dalla vigilia dell’invasione; chi come Tsurenko raccontava allo scorso Roland Garros che ormai tutte loro vengono costantemente seguite da psicologi; chi come Kalinina ha raccontato dei nonni che continuavano a vivere a Nova Kakhovka con missili e militari russi fin nel loro giardino finché una mattina una bomba esplosa a pochi metri da casa li ha convinti ad andarsene.

Nel caso di Kudermetova, c’è purtroppo il problema non risolto dello sponsor non gradito nell’Unione Europea. A Roma, come a Madrid, era regolarmente sull’outfit. La russa in Spagna ha dichiarato di non infrangere nessuna regola, ma questo rischia di essere un fattore in più nel rapporto inesistente tra queste giocatrici. Kudermetova ha anche smentito, in più occasioni, il suo rapporto con il CSKA Mosca (la polisportiva con legami con l’esercito) e ogni connessione con loro. Non si allena più in quelle strutture e anche per quanto riguarda la questione sponsor, ci siano delle linee d’ombra, ovvero che ad aiutarla è un ramo che non c’entra nulla con il finanziamento della guerra.

Le ucraine hanno preso da tempo una posizione chiara e l’hanno motivata con ragioni che escono dal campo e dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti. Almeno se si riesce ad analizzare la loro posizione con un po’ di concretezza. Si può essere d’accordo o meno, in linea di principio, ma non siamo nella posizione di giudicare. Nessuno di noi lo è. Si dovrebbe solo evitare uscite a vuoto tra critiche e pretese. Non era successo già più volte prima di quel match, non succederà in altri momenti. È così, per quanto scandaloso e fastidioso possa sembrare. La loro vita da più di un anno non è quella normale di tutti noi.

Diego Barbiani

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Diego Barbiani

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