[5] A. Rublev b. [6] H. Rune 5-7 6-2 7-5
Ci sono voluti otto anni e un mese ad Andrey Rublev per conquistare un masters 1000, battendo in finale uno a cui invece erano bastati poco più di diciotto mesi. Due numeri che dicono poco del match di oggi ma un po’ di più di quanto sia sempre avventato lasciarsi andare a pronostici sfavillanti o depressivi quando di mezzo ci sono ragazzi che oltre a saper dare racchettate ad una palla – cosa in cui sono in tanti ad essere molto bravi – devono gestire pressioni ed emotività, oltre che le naturali vicissitudini dell’esistenza. Rublev è apparso in un campo secondario di Barcellona nel lontano 2015 prendendo a pallate per un’ora un esterefatto Fognini – non un Fognini qualsiasi, ma quello che il giorno dopo darà una lezione a Nadal – e a tanti sembrò di vedere il tennis del futuro, fatto di rapidità estrema e potenza, soprattutto col dritto. Se le premesse sono state solo parzialmente rispettate è appunto per via della grande emotività che visita frequentemente Andrey, persona splendida a quanto si dice ma che in campo fa una fatica enorme a contenersi. Se avete la malagurata idea di sostenerlo, magari per umana simpatia perché il gioco non è che sia frizzi e ballacche, scoprirete che nessuna partita è mai finita con lui, soprattutto nel bene. Anche oggi, quando è andato a servire per vincere il suo primo Masters 1000 il primo lunghissimo 15 è stato seguito senza respirare, perché lo psiscodramma era sempre dietro l’angolo e forse in quella risata amara che ha accompagnato il rovescio in rete nel primo match point c’è tutta la consapevolezza di un ragazzo che ha pure chiesto aiuto ad uno psicologo per provare a controllare i nervi nei momenti topici.
Aiutato da Rune, che sarà certo stato provato dalla partita contro Sinner ma ha pur sempre giocato meno di Rublev in questo torneo, stavolta il salmo è finito in gloria ma non c’è da sperare che questo risolva granché, perché già a Barcellona, se farà l’errore di andare come probabile, di nuovo ogni punto potrebbe essere l’inizio di un piccolo dramma.
Dal canto suo Rune sarà campione, come lo saranno, come lo sono, Sinner, Tsitsipas, Zverev e molti altri ma una volta di più va sottolineato che il livellamento di questo periodo rende tutti i tornei molto incerti, visto che dipendono dalla superficie e dalle condizioni fisiche del momento. Rune è arivato in finale aiutato dalla buona sorte e dal solito equivoco sulle possibilità di Sinner, ed è stato persino ad un passo dal vincerla visto che sul 4-1 ha pure avuto la palla per il doppio break che avrebbe chiuso il match. Ma la differenza di mobilità in campo è stata enorme e la chiusura ingloriosa, a parte i due smash tirati manco fosse Djokovic, in cui il ragazzo danese si muoveva a stento in fondo è stata la giusta nemesi per uno che da oggi è numero 6 e che ciononostante ha ancora mille cose da migliorare.
Certo, i nostalgici della sacra trimurti noteranno ogni volta l’enorme differenza con l’attaccamento quasi canagliesco che i tre avevano anche per il più infimo torneo della periferia di Sofia o di Istanbul, e Alcaraz – forse l’unico che potrebbe mettere tutti d’accordo – pare troppo fragile per farlo a lungo, o forse sono i tempi cambiati che rendono i giocatori fragili. Per il momento godiamoci questo nuovo vincitore di un Masters 1000, Barcellona è già cominciato e subito dopo Madrid e Roma. Prima di Parigi ne sapremo di più. Forse.
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