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Swiatek, lassù dove osano le aquile

Fin qui Iga Swiatek ha vinto sedici delle diciassette (scritto in lettere, che fa ancor più impressione) finali giocate nella carriera. Guardando solo al circuito maggiore siamo a due Slam, cinque WTA 1000, un WTA 500 in bacheca.

Ha vinto ovunque, le manca solo l’erba dove comunque nel 2018 vinceva il titolo junior di Wimbledon. Tra le grandi è destinata magari a faticare più del previsto, perché sul dritto avrà forse la metà del tempo per impattare la palla tra superficie in teoria rapida e un movimento molto personale, ma cosa può farci pensare non potrà riuscirci prima o poi?

Doha, Indian Wells, Miami, Stoccarda, Roma e ora Parigi. 35 vittorie consecutive, sei finali praticamente dominate. In nove tronfi totali ha perso in media meno di cinque game a match, con nessuna mai spintasi oltre i quattro (Sofia Kenin al Roland Garros 2020, Maria Sakkari a Indian Wells e Naomi Osaka a Miami 2022). Numeri da tagliare le game a tutte le altre, non bastasse già il vuoto totale che la classifica assumerà lunedì prossimo. Lei ha preso il volo, le altre sono rimaste ancorate a terra.

Sarà leader della classifica WTA con 4300 punti di vantaggio su Anett Kontaveit, che di punti ne ha esattamente 4300. Saranno 7290 i punti nella Race, con la seconda (Ons Jabeur) ferma a cira 2500. Devastante in campo, con 55 set su 104 giocati dove ha concesso al massimo due game all’avversaria, devastante fuori dove è fortemente impegnata nel sociale e dove ha voluto prendere un momento anche oggi per rivolgere un cenno all’Ucraina martoriata da oltre tre mesi. Tra l’altro, per una sfortunata coincidenza, l’invasione russa è cominciata due giorni dopo l’inizio della sua serie invincibile. Lei che ha cominciato durante la premiazione del torneo di Doha a parlare e supportare l’Ucraina, ha ripreso quelle frasi volta per volta, aggiungendo da Indian Wells un fiocco dai colori della bandiera ucraina e operandosi per dare sostegno a casa, non si è fatta mancare nemmeno oggi la volontà di alzare la voce su una questione che, per sue stesse parole, nel circuito sembra sia stata dimenticata troppo in fretta.

Lunghissima, a quel punto, la standing ovation partita dal Philippe Chatrier. Qualcosa di simbolico, un momento di empatia tra gli oltre 10.000 presenti per ritrovare quell’umanità che in questi mesi sembra perduta. Swiatek ha unito tanti, sotto questo aspetto, come in quello di essere ormai la degna erede di Ashleigh Barty. Quando l’australiana ha lasciato il tour, a metà marzo, ci chiedevamo cosa sarebbe potuto accadere perché in quel momento tra la seconda e la settima nel ranking c’erano poche centinaia di punti. Swiatek, a cui bastava una sola vittoria per diventare numero 1 al mondo, sembrava poter diventare la prima di una lunga serie con possibili sorpassi e controsorpassi di un ranking ancora molto “stretto” tra le prime. Quanto ci sbagliavamo.

35 vittorie consecutive, 60 degli ultimi 62 set vinti, sei titoli di fila. Difficile ormai spendersi in parole non usate già in precedenza, perché già l’accoppiata Doha-Indian Wells sembrava molto complicata, poi il trittico con Miami e la stagione su terra da cominciare. Era la grande favorita in tutti i tornei, scrivevamo dopo Miami: se queste sono le premesse, chissà cosa potrà accadere. Ecco qua: quattro vittorie a Stoccarda, cinque a Roma, sette a Parigi. 16 su 16, tre titoli su tre, due set persi. E siamo sempre lì. Dominio. Swiatek ha spiccato il volo rispetto a tutte, arrivando su dove osano le aquile.

Diego Barbiani

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