Più passano i giorni, più la crudeltà di quanto avviene in Ucraina sta cambiando e cambierà il volto nelle relazioni globali a ogni livello.
Il tennis non sembra poter evitare un confronto con la realtà che va oltre i suoi ideali di unione e aggregazione e, se all’inizio gli enti che governano il Circus avevano deciso, con anche reazione favorevole dei tennisti ucraini, di concedere la neutralità a russi e bielorussi per permettere loro di giocare, a oltre due mesi dallo scoppio dell’invasione il clima è profondamente cambiato.
La notizia di Wimbledon che ha bannato russi e bielorussi dall’edizione 2022 ha mille significati. Ingiusto? Forse. Eccessivo? Può essere. Significativo? Dubitiamo. Dovuto? Qui si entra in un campo minato. Le relazioni tra atleti russi, bielorussi e ucraini prima dello scoppio del conflitto non erano negative, tanto che appunto il gruppo di ucraini chiedeva di poter concedere loro la possibilità di giocare. Però a Indian Wells sono successe diverse situazioni che hanno fatto cambiare lo scenario. Ne ha parlato Marta Kostyuk per prima, in una conferenza stampa dove spiegava l’enorme delusione per non aver avuto alcun genere di supporto da parte di colleghi e colleghe con cui normalmente aveva rapporti, vedendosi praticamente tutte le settimane. Ha cercato, assieme alle connazionali, di avere un appoggio dalle istituzioni (in questo caso la WTA) ma non c’è stato alcun cenno di intesa, soltanto un “stiamo monitorando la situazione” di circostanza.
Un giorno, ha raccontato poi al sito Tribuna, lei e le altre giocatrici ucraine hanno provato ad andare dai giocatori russi e bielorussi per provare a parlare con loro direttamente e avere un confronto sulla questione, ma sono state fermate dai rappresentanti WTA che avrebbero aggiunto che ci sarebbero potute essere delle conseguenze: una mossa, disse Kostyuk, per far capire che non era una situazione adeguata. Lei, come le altre, si stanno sentendo molto isolate. Rimpiangono, dice Marta, che Alexandr Dolgopolov e Sergyi Stakhovsky non siano più nel tour, perché non c’è praticamente voce di primo piano tra gli uomini. Nella stessa intervista compaiono anche dichiarazioni abbastanza pesanti da parte di Nikita Vlasov, preparatore atletico di Lesia Tsurenko. Per la prima volta viene fatto un riferimento chiaro verso un nome e cognome: Aryna Sabalenka.
Torna a galla, infatti, la questione sui suoi rapporti con Aliaksandr Lukashenko, “democraticamente” a capo della Bielorussia la cui autorità non viene riconosciuta da alcun paese europeo se non la vicina Russia con l’amico Vladimir Putin. Sabalenka si è spesso mostrata in patria abbastanza vicina alle dinamiche di Lukashenko fin da quando partecipò a fine 2017 a un incontro nel suo palazzo per una chiacchierata andata in onda la sera di capodanno a ripercorrere i suoi successi. Il punto che fa infuriare Vlasov, qui, è la firma che la prima tennista bielorussa ha messo a fine 2020 su un documento fondamentalmente pro-governo che raggruppa gli sportivi che si opponevano al corpo di atleti liberi, emerso poco dopo la quantomai contestata rielezione del presidente nell’elezione dell’agosto 2020 che scatenò feroci proteste per settimane, represse brutalmente dalle forze di polizia ed esercito.
Per Vlasov: “La Bielorussia contesta che questa è una decisione politica? C’è Sabalenka che è amica di Lukashenko. Il suo fidanzato è anche lui molto legato a Lukashenko. Sabalenka stessa ha firmato una lettera chiaramente pro-regime. Ragazzi, ma di che stiamo parlando? Immaginatevi un nazista tedesco competere a Wimbledon nel 1942. È impossibile. E qui la situazione è molto simile, perché la Bielorussia è anch’essa responsabile della guerra in Ucraina”. Ha poi aggiunto: “Sabalenka è estremamente ambigua. Sembra presentarsi come una ragazza simpatica e disponibile con chiunque, poi però supporta il regime di Lukashenko. La sua vittoria elettorale non è stata riconosciuta da alcuno stato democratico al mondo. Chi sei allora tu, Aryna? Sai almeno cosa stai firmando? Questo non ha senso. Mostra chiaramente come supporti il dittatore qualsiasi cosa faccia, incluso il trattamento riservato all’Ucraina”. La rabbia nelle parole di Vlasov è emersa anche perché la stessa Sabalenka aveva promesso di aderire alla simbolica iniziativa di Iga Swiatek a Indian Wells, dove la polacca aveva fatto distribuire dei nastri coi colori della bandiera ucraina a chiunque ne chiedesse. Aryna aveva promesso che poteva indossarlo senza problema, perché la gente potesse notare il supporto, ma alla fine non lo fece. E non solo lì, ma a oggi diverse tenniste continuano ancora a indossarlo mentre lei non lo fa.
Kostyuk, inoltre, dichiarava che assieme alle tenniste ucraine ha cercato l’appoggio almeno dei colleghi europei per firmare una petizione di boicottaggio delle partite contro russi e bielorussi. Per Marta il punto fondamentale è che nessuno firmava per paura di essere poi scoperti e diventare a loro volta bersaglio di reazioni. E così si sono trovate ulteriormente sole.
Vlasov, invece, a proposito della teoria per cui lo sport e la politica non debbano incrociarsi: “Come potete pensare che sport e politica non siano incrociate? Allora perché quel ragazzino dalla ginnastica è andato alla premiazione con la Z bella evidente sul petto? Olimpionici che si sono presentati allo stadio Luzhniki sul palco con Putin a sostenere che la Crimea sia stata liberata? I russi hanno trascinato la politica nello sport! I suoi atleti sono diventati parte della propaganda di questo paese. Non c’è più ragione per cui questi dovrebbero rimanere nel tour”.
Tra l’altro, sempre a proposito di Sabalenka, va sottolineato come spesso Lukashenko si è espresso celebrando i successi dei suoi atleti. E allora torna alla mente la vittoria di Aryna a Madrid lo scorso anno, avvenuta sabato 8 maggio. La mattina del 9, dall’ufficio stampa di Lukashenko uscì un comunicato diffuso via media che celebrava la vittoria della connazionale aggiungendo che era un meraviglioso motivo di orgoglio per il popolo bielorusso in occasione della grande festa del 9 maggio. Il 9 maggio è il giorno in cui si celebra della vittoria delle truppe sovietiche sui nazisti, la presa di Berlino e la fine della seconda guerra mondiale. La stessa festa, tra l’altro, a cui sta ambendo ora Putin per celebrare la vittoria della sua armata contro l’Ucraina, più volte definita nazista.
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