Il vuoto che lascia Barty in una WTA che deve ripartire (tra le incertezze)

L’addio improvviso di Ashleigh Barty al mondo del tennis ha scatenato un gran moto di emozioni. Tanti, tantissimi, tra lo shock e lo sgomento sono passati da un lato all’altro tra commozione e applauso per onorare la sua carriera alla tristezza per sapere che è tutto finito già a 25 anni.

Adesso però, nel più banale e malinconico dei commenti, lo show deve continuare. Ha lasciato probabilmente la tennista più talentuosa tra le giocatrici nate negli anni 90, la migliore per rendimento su tutte le superfici, ragazza dalla testa straordinaria e che continuava a migliorarsi.

Barty era riuscita a trasformarsi da giocatrice sublime a super efficace, riuscendo dove tante prima di lei avevano fallito: non pagare lo scotto del numero 1 al mondo, non viverlo come un ostacolo, e adattarsi molto bene al ruolo da leader che col tempo in tante avevano cominciato a prendere come modello. Personaggio unico, tennista sopraffina e carattere “fin troppo” nelle righe per la popolarità a cui era destinata. Divenuta numero 1 un po’ per caso, pescando il jolly in quel Roland Garros 2019 così travagliato ma dimostrando col tempo, e a suon di titoli, che nel suo exploit c’era stato soprattutto un cambio a livello mentale verso orizzonti di gloria.

Era l’anno in cui nasceva, e purtroppo ora diciamo anche “svaniva”, il dualismo con Naomi Osaka, forse l’unica giocatrice che poteva davvero tenerle testa, sul cemento. L’ultimo confronto rimarrà la finale del WTA 1000 di Pechino nell’ottobre 2019, vinta in tre set dalla giapponese. Era una rivalità che si presentava con grande fascino tra due caratteri piuttosto simili ma dal gioco molto diverso. L’agilità e la precisione di Osaka tendente al power tennis contro la classe e il talento puro di Barty. E a rimarcare quanto quel torneo fu speciale, il quarto di finale tra Osaka e Bianca Andreescu fu votato quasi all’unanimità come match dell’anno. Partita palpitante, appassionante, una Naomi capace di spezzare la serie positiva della canadese che durava da inizio marzo. C’era tanto di cui sorridere allora, guardando agli anni futuri. Incredibile pensando a dove siamo arrivati ora.

Barty, Osaka e Andreescu erano i nomi più caldi in quel momento per il proseguo della nuova generazione tennistica. A loro si aggiungevano, ancora a distanza, Aryna Sabalenka e Iga Swiatek. In appena tre anni Ash ha appeso la racchetta al chiodo, Naomi ha vissuto una profonda crisi personale e Bianca è stata continuamente afflitta da problemi fisici di varia natura finché lo scorso autunno ha dovuto staccare dal tennis quando la nonna è stata parecchio male e non riusciva ad allenarsi, rinunciando addirittura alla trasferta australiana e trascorrendo diverse settimane in Costa Rica per cercare di ritrovarsi Dire che ci sbagliammo, soprattutto su Osaka, sarebbe un errore. È vero che è da sempre stata molto incostante nell’arco della stagione per problemi suoi di adattamento alla terra battuta e all’erba, ma non si vincono quattro Slam se le qualità (importanti) non sono presenti. Naomi e Ash erano viste come vere numero 1 e numero 2 del mondo. Da sole, dallo US Open 2018 in avanti, avevano vinto una ventina di tornei tra cui sette Slam, un’edizione delle WTA Finals e quattro titoli ‘1000’. E si completavano: una star internazionale, l’altra leader del movimento. Due ambasciatrici di grande valore per lo sport che ha patito abbastanza l’assenza di volti chiave per lungo tempo. Non a caso, senza Osaka intorno Barty ha messo in piedi un dominio quasi incontrastato, arrivando alle volte ad avere anche più di 3000 punti di vantaggio sulla seconda in classifica, diventando la prima tennista da Serena Williams ad abbattere il muro delle 100 settimane da leader, diventando la prima tennista sempre da Serena a sfondare il muro dei 10.000 punti raccolti. È vero che la pausa per la pandemia ha probabilmente facilitato alcuni processi, ma la Barty ammirata pre e soprattutto post interruzione ha meritato ogni traguardo.

Il problema arriva ora. Barty lascia, Osaka è al momento alle prese con un tentativo di ripresa molto delicato e Andreescu non mette piede in campo da mesi con un ranking che la vedrà fuori dalle 100. Con loro i nomi susseguitesi poi hanno avuto cento diverse peripezie. Sofia Kenin ha deluso abbastanza, è vero, ma è un’altra che ha perso la bussola anche a causa di tanti problemi fisici dall’inizio del 2021 (si è ritirata pure adesso a Miami). Emma Raducanu è ancora troppo acerba malgrado la clamorosa e irripetibile impresa dello US Open, basti pensare che non ha mai giocato un torneo ufficiale su terra battuta tra ITF e WTA e gli unici sono stati dei tornei junior nel 2018. Le uniche in grado di mantenersi ad alti livelli sono state Barbora Krejcikova e, soprattutto, Iga Swiatek. La polacca in particolare in un anno e mezzo ha messo in bacheca uno Slam e tre titoli 1000 dando forse le sensazioni migliori per un futuro che però vedeva ancora lontano. La consapevolezza che come guida ci fosse Barty, in un certo senso, ha spronato tutte le altre a fare meglio e permesso a Iga di crescere in attesa di potersi confrontare di nuovo con Barty, che aveva vinto i primi due precedenti.

Proprio a Indian Wells Swiatek raccontava di quanto stesse osservando certe caratteristiche di Ashleigh, vogliosa di continuare a migliorarsi per affrontarla e verificare quanto distante fosse, se ci fosse ancora vero gap, dalla miglior giocatrice del mondo. Adesso, con molta probabilità, sarà lei a ereditare uno scettro che peserà tantissimo. Non facciamoci illusioni: per Iga rischia di essere un contraccolpo importante. Uscita di scena una che dominava, e che aveva imparato a gestire quella X gigante rossa sulla schiena di target ambito da chiunque, ora sarà lei (o in caso Paula Badosa, ma le chance della spagnola non superano l’1%) a essere quella che dovrà adattarsi, e in fretta, alla posizione più ambita del ranking. E non è tutto, perché il ranking di lunedì vede la stessa Swiatek con appena 1500 punti di vantaggio su Karolina Pliskova, ora numero 7 WTA. Solo 1500 punti e ben sette giocatrici presenti. Se Sabalenka, Anett Kontaveit e Maria Sakkari non possono entrare nella lotta al potenziale numero 1 per appena un paio di centinaia di punti (dipende comunque da Barty se si cancellerà o meno) questo però vuol dire che da ora in avanti o una di loro fa uno scatto significativo in avanti oppure ci aspetteranno settimane di variazioni importanti al vertice.

Qual è, a ora, il peso del ritiro di Barty? Un circuito WTA che stava riuscendo a trovare un principio di linearità, scoprendo nuove protagoniste e facendo crescere giovani interessantissime, ora si ritrova col rischio di nuovo caos. I nomi per il futuro ci sono ma il sisma che ha causato, involontariamente, Ashleigh è un fenomeno che potrebbe segnare i prossimi mesi. E con esso riaffiorano i problemi che hanno colpito tante giocatrici. Da Osaka a Raducanu, parlando di campionesse Slam con eventi fuori dalla normalità, dalle promesse finora non esattamente mantenute come Amanda Anisimova, annunciata in pompa magna dopo la semifinale Slam a Parigi nel 2019 ma di fatto anche lei vittima di un travaglio personale enorme. L’attenzione, ora, sarà quasi tutta incentrata su Swiatek che, a nemmeno 21 anni, si ritrova catapultata in una posizione di grandissime responsabilità. Viene da 11 risultati utili consecutivi, due titoli ‘1000’, è a poche settimane dall’inizio della sua parte di stagione preferita (sul rosso), ma dovrà farsi forza nel capire come affrontare questo momento che di fatto si è vista assegnata durante la nottata (per lei) a Miami. Chissà, stamattina, quale sarà stata la reazione al risveglio.

Casi in cui ci sarà il cambio al vertice WTA dopo Miami

– Ashleigh Barty decide di cancellarsi immediatamente dal ranking compilando i moduli WTA di ritiro (Swiatek n.1)

– Iga Swiatek vince un turno a Miami e Barty si cancella

– Paula Badosa vince il titolo a Miami, Swiatek perde all’esordio e Barty si cancella

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