Forse Rafa Nadal non esiste, altrimenti l’infinito farebbe parte della dimensione umana. Però è lì, davanti ai nostri occhi, fatto di carne e ossa, di umanissima volontà e mistica dedizione, e gronda sudore. Ha una marmotta in testa, pettinata alla Mascagni, e sembra più stanca di lui che ha 35 anni e 7 mesi portati da campione. Ma Villa Arzilla è la casa dei campioni.
Esiste, Rafa. Non è una visione. È in piedi e si stringe il volto fra le mani, lasciando spazio a un’espressione di meraviglia. Sembra chiedersi come sia potuto succedere. Lo sa benissimo, come. Ma questa volta dubitava anche lui, che ne ha viste e passate di “ogni”. L’ultima ha un nome, Muller-Weiss, che poteva essere Weiss-Muller, il primo Tarzan cinematografico, un altro figlio della giungla. Proprio come lui. Una sindrome dolorosa al piede, con cui Rafa ha convissuto dall’inizio della carriera. Quanti anni fanno? Diciassette? Quelli sul circuito. E prima? Si è operato a settembre, e per settimane si è chiesto se avrebbe mai rivisto un campo da tennis. Poi ha fatto come avrebbe fatto Rafa, il Rafa di sempre. È partito per l’Australia e ha vinto. Due volte. Prima nel torneo di ouverture, poi lo Slam. Un miracolo? No, sarebbe appartenere a un altro mondo, anche questo. Mentre Nadal è sempre lì, e ora esulta, incapace di piangere ma commosso fino a esserne zuppo dentro.
Non è infinito, né miracoloso. È semplicemente immenso. Ecco la sua dimensione. L’immensità delle vittorie sportive che vanno oltre ogni spiegazione, al di là dei pronostici, più in alto di dove sia possibile spingersi con lo sguardo. Talmente grande da accoglierci tutti quanti, e farci sentire un po’ Rafa, perché siamo instancabili nella voglia di vederlo vincere. Lui ci appaga. Lui, con Federer, ci regalano forza e bellezza. Chi è il Più Grande fra i due? Rafa che è giunto allo Slam numero 21? Certo, perché no. Federer che da quando manca sembra che manchi un pezzo di tennis? Sì, anche. Ma è davvero così importante? Loro sono gli immensi, e Djokovic è con i due, finché la discussione resta su un campo da tennis. E dite, vi è qualcosa di più mirabile dell’immensità nell’universo infinito?
Cinque ore e 24 minuti. Quando l’ultima zampata di Medvedev finisce a balzelloni verso la rete, il messaggio di Roger Federer è già su Instagram. “Congratulazioni al mio amico e grande rivale per il 21° Slam della carriera. Pochi mesi fa parlavamo del fatto che entrambi eravamo con le stampelle. Mai sottovalutare un grande campione. La tua incredibile etica del lavoro, la dedizione e lo spirito combattivo sono un’ispirazione. Sono orgoglioso di condividere questa Era con te e onorato di aver avuto un ruolo nel migliorarti sempre di più, lo stesso hai fatto tu con me negli ultimi 18 anni”. Bello no? C’è amicizia e grande rispetto, ma non invidia. E c’è una grande verità. Mai sottovalutare un grande campione.
Non è rivolta a Medvedev, ma all’universo mondo. Strambo e incostante finché si vuole, Daniil non ha peccato nella sottovalutazione del suo avversario, neanche quando si è trovato due set avanti. Piuttosto, se n’è angosciato. E ha commesso l’errore di pensare che difendere il vantaggio fosse il modo migliore di condurlo in porto. Ha smesso di caricare i colpi, e cessato i raid che avevano squassato la prima parte del match di Nadal.
È attraente come un “Black Hole” la parte oscura del tennis, quella in cui cercano riparo tutti i peccatori pentiti. Grandi colpitori finché le angosce non prendono corpo, e da lì in poi tutti a fondo campo a remare e innalzare barricate. All’Orso russo è andata bene nel secondo set, pervenuto al termine di un tie break coraggioso, poi il motore s’è spento. È successo dopo il sesto game del terzo set, quando Daniil non è venuto a capo di tre palle break (0-40) che forse gli avrebbero dato la vittoria. Rafa l’ha rimontato, implacabile. Azzannandolo, quasi divorandolo.
Su quel game gettato al vento, Medvedev ha permesso a Rafa di rinvenire. Ha perso il terzo, nel quarto ha fatto da sparring. Solo alla fine abbiamo visto il russo di nuovo propositivo. Ma le energie erano ormai al lumicino, e intorno alla sua sedia si alternavano i massaggiatori. Figurarsi, Daniil ha 25 anni, dieci meno di Rafa, ed era lui ad avvertire il peso della corrida. L’altro no, sgambettava instancabile. L’ultimo brivido è giunto da uno scambio di break a un passo dal titolo. Troppo tardi per Medvedev… Rafa non ha più fallito.
«Non pensavo fossi in grado di reggere 5 set giocati così. Ma cos’hai dentro?». È stata la domanda che Daniil ha rivolto a Rafa durante la premiazione. Lo spagnolo gli ha risposto per vie indirette: «Ho uno spirito positivo. In questi ultimi mesi ho combattuto strenuamente. No, non credo che esista un tennista più grande degli altri nel tennis. Certo esistono giornate più luminose, e questa è una di quelle. Io combatto per continuare a viverle. La gente ha capito, e mi ha dato una mano». Può farcela anche a Parigi. Forse ci sarà Djokovic, chissà. Forse Medvedev, o Sinner, o Berrettini, o Thiem che sta per tornare, gli creeranno problemi. Forse… Ma Rafa non ha più niente da dimostrare.
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