La parola del Direttore

Djokovic e i tanti errori dell’Australia (da spiegare ai cittadini)

«C’è una domanda che mi agita. Mi chiedo che cosa avrebbe dovuto fare di più quest’uomo». Anthony Kelly sceglie con cura le parole, non fa parte dell’apparato burocratico, è uno dei giudici della Corte Federale più noti a Melbourne per essersi occupato da sempre di questioni legate all’immigrazione. Cinquant’anni, l’aspetto bonario, il pugno di ferro. Lo descrivono così…

Novak Djokovic avrebbe pagato per sentirsi dire esattamente quella frase, al termine di quattro giorni confinato (trattenuto? recluso?) nell’albergo dei “senza visto”, quello degli scarafaggi che giorno dopo giorno i familiari del tennista hanno descritto sempre più grandi e aggressivi, ma le parole che chiudono la prima parte della vicenda legata al ritiro del suo visto, e gli restituiscono la speranza di poter partecipare agli Open d’Australia al via il 17 del mese, per vincerli una volta di più (la decima) e sentirsi finalmente più grande di Federer e Nadal, judge Kelly non le rivolge a lui. Agli australiani, piuttosto, e al Governo Federale in particolare.

Lo fa al termine della lettura delle regole previste per l’esenzione e degli incartamenti prodotti da Nole e dai suoi avvocati con sede nel grattacielo Rialto, il primo a Melbourne, costruito da ingegneri e maestranze italiane. È un atto di accusa: queste regole le hanno scritte loro, i signori al governo, e se oggi permettono a un “non vaccinato” di andarsene in giro per Melbourne (265 giorni di lockdown continuato, il 92,6 per cento di vaccinati tra la popolazione), forse non sono state scritte così bene.

Ne sorte una sentenza favorevole al numero uno del tennis, insieme con l’annuncio che la vicenda si trasferirà da qui in poi su un piano strettamente politico. Annullata la cancellazione del visto, Kelly ha deciso di concedere a Djokovic una nuova esenzione fino alle 20 di martedì (le 10 in Italia), in modo da evitare che il ministro dell’immigrazione Alex Hawke potesse reiterare il confinamento del giocatore, richiesta che sarebbe dovuta pervenire entro quattro ore dalla sentenza. Djokovic ne ha approfittato per fare visita ai propri avvocati, sentire i genitori che stavano tenendo con il fratello Djordje una conferenza stampa a Belgrado (interrotta alla prima domanda ritenuta sgradevole… i tre si sono messi a cantare e sono usciti dalla sala) quindi per recarsi in tutta fretta alla Rod Laver Arena, dove ha incontrato il suo team e (finalmente) ha potuto svolgere il primo allenamento.

Ma è solo il primo set della partita. Da oggi Djokovic potrebbe scoprire che ciò che pensa, ciò che ritiene giusto o ingiusto, la sua esenzione medica e tutte le difficoltà vissute dal suo arrivo a Melbourne, non contano niente e non serviranno a dargli certezza alcuna. Sarà come giocare contro un avversario che prenda il sopravvento e gli strappi dalla racchetta ogni possibilità di replica, allo stesso modo di Medvedev nella finale degli US Open che ha sbriciolato il sogno del Grand Slam. Nel concedergli la prima manche, il giudice dell’incontro ha spostato il tiro sul Governo, lasciandolo solo a misurarsi con i propri errori (se ci sono) e con il malcontento di una popolazione che ha sofferto il più lungo lockdown mondiale e chiede di sentirsi protetta.

Nole durante il dibattito processuale, svoltosi in streaming, ha ammesso ciò che tutti avevamo capito, di non essere vaccinato e di aver contratto il virus due volte, la prima nel 2020, la seconda il 15 dicembre scorso. Il giudice Kelly non ha indagato su come Nole si sia comportato nei giorni successivi alla seconda positività (nei quali ha partecipato ad almeno un evento alla presenza di bambini), perché i fatti non sono australiani e non riguardavano la sentenza. Ma a chiederselo sono gli australiani: è così facile ottenere un’esenzione? Può bastare solo un certificato medico, senza tenere conto del resto? In estrema sintesi, non è fin troppo semplice eludere le regole?

A queste domande il Governo di Canberra verrà chiamato a rispondere. Potrà decidere di evitare ulteriori passi, ma rischia di pagarla cara alle prossime tornate elettorali. Oppure passare alle vie di fatto e allontanare d’autorità Djokovic, ritirando il visto per decisione governativa. Infine, c’è la possibilità di un ricorso presso la Corte Federale contro la sentenza firmata da Kelly. L’ipotesi peggiore per Nole, perché allungherebbe i tempi e lo costringerebbe a giocare lo Slam senza avere la certezza di poterlo completare.

Oggi sapremo. Mentre la polizia di Melbourne fa sapere di essere sulle tracce di due manifestanti pro Nole che durante la festa per la sentenza favorevole, hanno infranto i vetri di una macchina e sono spariti a bordo della stessa.

Daniele Azzolini

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