La curiosa vicenda di Novak Djokovic l’indomani della sua fine è trattata dal mondo del tennis come un brufolo fatto scoppiare e che può dar fastidio per un giorno, ma poi finisce lì.
Come ci si attendeva, dopotutto, visto che la voce dell’ATP, PTPA, ITF e così via in tutta questa storia è stata decisa e potente quanto un pugno di un neonato in faccia a Mike Tyson. Solo dopo che Djokovic era già salito sul volo Emirates per Dubai, c’è stata qualche reazione. E anche lì, ormai contava zero di zero.
Comunque, la vita va avanti e figurarsi se ha il tempo di occuparsi ancora di un tennista no vax che gioca un torneo, dopo averlo fatto anche più del dovuto, forse.
In poche parole: la funzione mediatica e politica di Djokovic, in questo caso, ha cessato di aver un senso quando i tre giudici hanno sancito che Nole doveva essere espulso, quindi ti saluto e grazie.
Dopotutto c’era da fare la narrazione del campione che non può avere privilegi e che deve rispettare le regole, dall’altra parte la schiera di persone che lottano per la libertà, per i loro diritti e così via, per i propri principi e non sono disposti a calare la testa al sistema. L’occasione era troppo ghiotta per la telenovela.
Ed è per questo straordinario che è straordinario come, una volta Nole abbia preso l’aereo per tornare in Serbia da Tullamarine, la sua vicenda ha quasi smesso di interessare praticamente tutti, tranne i serbi che lo hanno accolto come un eroe (e questo era abbastanza scontato). Come quando ci si alza dal cinema alla fine di un film.
Chi si immaginava folle in tutto il mondo aizzate dalla decisione di espellere il serbo, bhe: stava vedendo un film sbagliato. O se l’era fatto in testa. Anche qui, sbagliando.
Per interessare tutti intendo non solo il popolo mainstream (ma questo era ovvio, visto che sostanzialmente di tennis non sa nulla se in rarissimi casi), ma anche gli appassionati in senso stretto, che hanno visto la prima giornata degli Australian Open come niente fosse, e ne hanno parlato e ne continuano e ne continueranno a parlare per le successive due settimane.
Questo che vuol dire? La cosa più banale e scontata del mondo: che nessuno, nessuno, è più grande del suo sport stesso. Nemmeno Djokovic, nemmeno Federer. La loro assenza ovviamente pesa e peserà, ma quando si inizia a giocare, tutto passa in secondo piano.
Un pò come succede per i mondiali di calcio se non si qualifica l’Italia: certo, non ci sarà tifo e trasporto, ma le partite le vedi sempre.
Quella di Djokovic è stata come detto una telenovela, un telefilm, forse addirittura un’arma di distrazione di massa, che all’inizio era anche appassionante, ma il finale ha più intristito che esaltato.
Per chi ama questo sport, è stato triste veder tornare indietro senza scendere in campo il più forte giocatore della storia, il n.1 del mondo e campione in carica che voleva fare la storia, e forse ci sarebbe riuscito.
Anche i modi, la questione vax-no vax, le convinzioni di un uomo che non sono cambiate, gli sbagli di Tennis Australia, le parole del Governo, tutta una serie di cose che alla fine della fiera hanno non solo stancato, ma proprio intristito.
Potrebbe non finire qui, tra l’altro. Cinque giorni dopo aver metaforicamente accolto a braccia aperte Djokovic dicendo che “lui qui può giocare”, dalla Francia e dal Roland Garros non arrivano, ad oggi, parole proprio concilianti e piene di speranza per il serbo, visto che anche da quelle parti c’è l’obbligo di vaccinarsi per uno sportivo. E chissà come sarà a Wimbledon, o a NY e così via.
Potrebbe essere la fine di Djokovic come tennista? Difficile crederlo. Ma ne parliamo tra due settimane. Scusate, ma c’è da veder tennis.
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