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09 Dic 2021 12:33 - Extra
Caso Peng, dietrofront del CIO? “Situazione delicata”. 4 nazioni al boicottaggio diplomatico di Pechino 2022
di Diego Barbiani
Per la prima volta nella triste e complicata vicenda della sparizione di Peng Shuai, a oltre un mese da quando è partita la censura totale nei suoi confronti, il Comitato Olimpico Internazionale è sembrato ammettere che non tutto sta andando secondo la linea del “sta bene, è a casa a riposare” spinta dal governo cinese fin da metà novembre.
Durante una conferenza stampa del CIO, disponibile in versione integrale su YouTube, il presidente del comitato Thomas Bach ha affrontato tra i vari argomenti anche quello del caso della tennista cinese visto come loro abbiano da sempre professato una diplomazia silenziosa e in qualche modo sono stati quelli che hanno avuto a che fare con l’atleta.
Già nella giornata di martedì un portavoce del CIO, Mark Adams, aveva comunicato: “Non possiamo riferirvi alcun fatto con assoluta certezza. Tutto quello che possiamo fare è il nostro meglio in questo percorso che crediamo sia la soluzione migliore per l’atleta. Non possiamo garantirvi nulla perché non conosciamo i fatti per intero. È tutto un percorso che ci deve portare almeno a mantenere un contatto diretto e vedere dove si trova”.
Adams usa un tono abbastanza trattenuto. Quando dice “non conosciamo i fatti per intero” si rifà alle accuse di molestie, su cui loro non hanno mai indagato fin qui. Il tono però, dopo la prima video-chiamata avvenuta il 21 novembre, era parso quasi più spavaldo. Non tanto dei membri della mini-delegazione che ha avuto modo di parlarle, ma di un altro rappresentante (Dick Pound) che alla CNN ebbe quattro minuti di intervista dove non lesinò bordate importanti alla WTA: “Loro l’hanno trovata in buona salute, in buono spirito, nessun evidenza di confinamento di alcun tipo e solo tanta voglia di rilassarsi in compagnia della sua famiglia e dei suoi amici”, aggiungendo che loro (CIO) sono riusciti a parlarle mentre la WTA (che confuse con l’ATP) no perché “probabilmente a lei non è piaciuto il modo di porsi”. Malgrado tutto, Pound ammise di non aver visto il video come nessun altro al di fuori del CIO, e di basarsi solamente su quanto gli è stato riferito. Emma Terho, presente alla video-chiamata, disse che “sono sollevata di aver visto Peng Shuai in buona condizione, che era la nostra maggior preoccupazione. Sembrava essere rilassata”.
Bach, ex schermidore olimpionico, ha poi preso la parola: “Ci sono due opzioni: o si prende una posizione pubblica, come ha fatto la WTA, o si sceglie l’approccio del contatto diretto come abbiamo fatto noi. La WTA ha preso una decisione ed è andata per la sua strada”, quasi dimenticandosi però che la WTA ha cercato da subito di contattare in tutti i modi la giocatrice e per prima non ha voluto credere alla mail molto sospetta che arrivò verso metà novembre, che di fatto scatenò tutti i timori più grandi. “Puoi avere una conversazione con un’atleta” ha continuato, “che si trova in una situazione molto delicata solo costruendo un rapporto di fiducia, e questo significa che il pubblico non può essere immediatamente informato dei contenuti del nostro dialogo”. Ed eccoci dunque alla prima crepa. Se Pound due settimane fa dichiarava sprezzante che tutto andasse bene, ora il presidente del CIO dice che la giocatrice “si trova in una situazione molto delicata”.
Due video-chiamate, gli unici a cui è stato concesso il permesso di poter vedere la giocatrice, e non sanno ancora garantire con certezza informazioni basilari. Se all’inizio il loro atteggiamento sembrava andare molto a favore del partito comunista cinese, almeno adesso sembra escludersi una volontarietà nelle proprie azioni: al contrario, sembra esserci soprattutto il caos, unito alla speranza che questi sessanta giorni ormai che ci separano dallo svolgimento dell’Olimpiade invernale passino il più velocemente possibile. Almeno per Bach, che convinto di sentirsi nella parte giusta della situazione ha ripetuto ancora di come a gennaio vorrà incontrare Peng a Pechino, aggiungendo però “nelle modalità che vorrà lei”. Altro potenziale errore: se tutti gli indizi portano a una persona che non è libera di agire secondo propria volontà, perché lasciare sia lei (o chi per lei) a scegliere i termini di qualcosa che già in partenza sembra grottesco?
Il caso Peng, come già accennato, sembra in questo momento il peggior sassolino nella scarpa del partito comunista che voleva vendere Pechino 2022 come la celebrazione del popolo cinese e la sua magnificenza a livello globale. Le questioni interne sono però tante: possono agire su una forte censura per spegnere le grida della comunità di Uyghurs per le torture che stanno subendo, o i comportamenti del governo nei confronti di Hong Kong e Taiwan. È notizia di oggi, infatti, di come la Lituania stia facendo i conti con le minacce di boicottaggio da parte della Cina per i prodotti commerciali dopo che il piccolo stato baltico ha riconosciuto un ufficio per l’ambasciata taiwanese sul suo territorio. La vicenda della tennista ha probabilmente rappresentato il tassello più grande anche grazie alla spinta della WTA per portare il caso all’attenzione pubblica, con un giornalista che ha rivolto una specifica domanda anche a Jen Psaki, segretaria del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, durante un briefing con la stampa.
Proprio gli USA, che proprio tramite il loro presidente avevano per primi fatto riferimento a un possibile boicottaggio (diplomatico), sono stati poi i primi ad aprire la strada. A ruota sono seguiti Australia, Canada e Regno Unito. Perché un boicottaggio diplomatico? Tra fine anni 70 e inizio anni 80 ben tre edizioni della manifestazione a cinque cerchi furono colpiti da un boicottaggio: nel 1976 a Montreal non ci furono 27 nazioni africane, l’Iraq e la Guyana per protestare contro la squadra di rugby neozelandese e la sua tournée in Sud Africa nel periodo dell’apartheid; nel 1980 a Mosca gli Stati Uniti, come anche la Cina, rifiutarono di presentare i loro atleti per polemica contro il regime sovietico e l’invio delle truppe in Afghanistan e al in tutto 65 nazioni non si presentarono; a Los Angeles 1984 furono invece 17 le nazioni a dire “no”, tutte di stampo comunista che aderirono all’URSS che voleva in qualche modo rifarsi dello sgarro subito in casa quattro anni prima. Adesso, per non penalizzare di fatto gli atleti che in questi scontri risultano più che altro le vittime, si cerca di lasciare loro liberi di decidere e nel frattempo si evitano, da parte di questi paesi, eventi pubblici dove potrebbero risultare fortemente controproducenti. Per esempio Mike Pence, vicepresidente di Donald Trump, nel 2018 a Pyongyang si sedette accanto alla delegazione diplomatica della Corea del Nord. E poi, con un paese come la Cina che sembra voler a tutti i costi vendersi come leader del progresso in barba a tutto, avere già quattro nazioni che dicono “no” è un colpo che fa tanto male alla sua immagine. Teng Biao diceva alla CNN che è un inizio e che Pechino si deve sentire sotto pressione, malgrado poi un portavoce ieri comunicasse alla notizia del boicottaggio dell’Australia con “non importa nulla a nessuno”. Di fatto, non importava così tanto che dopo l’annuncio di boicottaggio di Boris Johnson ha dichiarato che le quattro delegazioni la pagheranno cara.
“Questa faccenda non ha niente a che vedere con le Olimpiadi. Si tratta di una questione umanitaria e personale per un’atleta che ha disputato i Giochi tre volte; il nostro obiettivo e il nostro impegno vanno in questa direzione, a prescindere dal resto”. Thomas Bach, nel suo tentativo di mantenere un profilo bassissimo, sta continuando a camminare sui carboni ardenti.