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L’infernale Djokovic

“Al cineclub di Via Banaco davano L’infernale Quinlan. L’avrebbe rivisto volentieri per l’undicesima, no, la dodicesima volta. Ogni volta la storia lo mandava in crisi. Charlton Heston era un poliziotto democratico e garantista, come lui aspirava a essere. Orson Welles era un bandito in divisa, sporco, avido, corrotto. Un fascista, come la maggior parte dei suoi colleghi. Ma Henston era anche un coglione capace di farsi menare per il naso dalle lacrime di un bombarolo. E Welles un genio investigativo che subodorava la puzza del colpevole a cadavere ancora caldo. Come non ammirarlo?”Romanzo Criminale (di Giancarlo De Cataldo)

Questa citazione presa da quel straordinario libro di un magistrato che si è dato alla letteratura (per la gioia di una generazione, senza esagerare, che ha prima ammirato il romanzo, poi il film e infine la serie), centra perfettamente il senso del problema e descrive con certosina precisione quello che è successo tra Novak Djokovic e Sasha Zverev nella semifinale degli Us Open, una delle più belle partite dell’anno (non che ci volesse molto, ma comunque).

Troppo facile identificare il serbo in Quinlan, nemmeno c’è bisogno di dirlo. Welles nel film odorava il colpevole, Nole ha lo stesso fiuto, in un certo senso: capisce, meglio di chiunque altro nella storia di questo sport (e forse non solo di questo sport), quando l’avversario sta per crollare. Un controllo totale della partita, una sorta di dittatura mentale devastante per chi gli gioca contro. E lo ha fatto anche stanotte.

Djokovic è volato in finale non incantando, ma ormai come fa da anni indossando la divisa del tennis “sporca e cattiva”, senza fronzoli. Qualcuno lo definisce addirittura pallettaro: non incanta, ti frustra, aspetta che a sbagliare sei tu. E indovinate come va a finire? “Come non ammirarlo”.

Zverev ci ha provato, a tratti ha addirittura sorpreso per la determinazione, quasi inusuale per uno come lui, uno che è sempre stato considerato (forse a torto) un predestinato, ma ci ha provato. Ha persino vinto uno scambio di 53 colpi, qualcosa di inaudito. Sarà per un’altra volta. Forse.

Intanto pensiamo alla storia. Pensiamo al grande slam. La fine di qualcosa, comunque vada. L’inizio di un’altra storia. Diversa, molto diversa. Chissà.

Luigi Ansaloni

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