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Giorgi e Halep, le ragazze non sanno più divertirsi

Ai cambi di campo mandano le hit degli anni Ottanta. Girls Just Want to Have Fun, 1984, Le ragazze vogliono solo divertirsi, scritto da una Cindy Lauper che sapeva viaggiare con naturalezza fra i sogni della sua fantastica follia, riuscendo poi a trascriverli nella realistica attualità di uno spartito. Era un miracolo newyorchese, e lo è ancora oggi.
    

“Voglio essere l’unica alla luce del sole”, cantava, incitando le altre a essere se stesse, e a liberarsi dei pensieri, delle convenzioni. Vada per il tributo, se di quello si tratta. Tempo perso, invece, se in sottofondo vi sia la volontà di consegnare un buon consiglio alle ragazze in campo. Divertirsi? E come? Simona Halep indossa un vestitino ocra bordato di nero, «che mi piace tanto perché ricorda la bandiera del mio Paese» riesce persino a dire, reso più elegante da una vistosa fasciatura che si allunga verso il ginocchio. Negli ultimi venti minuti sembra impegnata a insultare la panchina più che a giocare la partita, e infatti stava riuscendo a riconsegnarla fra le unghiette protese di Camila Giorgi. Divertirsi… E come si fa se il tennis è diventato un gioco della mente? “Ma le ragazze vogliono divertirsi, finita la giornata vogliono solo divertirsi”.
    Non ci riesce nemmeno la bella Camila, che certo più della Halep si avvicina alle amiche di Cindy. Lei la voglia di essere l’unica alla luce del sole ce l’ha sempre avuta, e continua ad averla, ma non basta. La costringono a pensare, alla fine. E se pensa non riesce più a essere se stessa. È questa la chiave del tennis moderno, del fatidico mental tennis? Pensare a come far pensare… Estrarre l’avversaria da quella comfort zone in cui il tennis è ancora felice e spensierato… Mah, forse. A vederle, le due ragazze hanno qualcosa di simile. Sanno picchiare come poche altre possono permettersi. E si vede che piace a entrambe farlo, dedicarsi anima e corpo a quel progetto liberatorio, dove tutto assume una dimensione più alta, quasi onirica, e le palle volano insieme agli schiaffoni. Ma non lo fanno fino in fondo, arriva un momento in cui occorre vincere il game, il set, il match. E allora le membra si irrigidiscono e i colpi escono più incerti di come prendevano forma appena pochi minuti prima. Le sassate dimenticano la mira, si spargono per il campo, spaventano il pubblico delle prime file. Viene il dubbio che alla fine abbia vinto Simona per essersi costruita una via naturale che faccia da sfogo a tutti quegli accidenti di pensieri. Lei se la prende con la panchina, con il coach, che è pagato anche per la dose quotidiana di vaffa che gli piovono addosso. Sulla sua panca Camila ha il papà, e non può permettersi simili sfoghi. Soffre in silenzio, mentre l’ultimo colpo prende la direzione del Fiorello La Guardia, a una decina di chilometri da Flushing Meadows.
    Però, ci sta… Halep è una numero uno in fase di ricostruzione. Ha ciccato l’intera stagione, offesa da una decina di infortuni che l’hanno strappata alla top ten (ora è tredicesima), l’ultimo è quello riparato con la fasciatura che le spunta dalla mise simile a una bandiera. Camila, che da poco ha vinto Montreal, è invece una numero 30 sfortunata. Vi è giunta troppo a ridosso degli US Open e non ha potuto essere presa in considerazione per una testa di serie. E il sorteggio è stato l’ultima beffa. Subito contro una delle più forti, sebbene acciaccata.
    Va così, ma il tennis è di qualità, finché le due vanno via libere. È brava Simona, nel primo set, a provocare (con la lunghezza e la tenuta dei colpi) la ribellione di Camila, che si fa breakkare sul 4 pari solo per la voglia di perforare la corazza della rumena. «Mi hai provocato, e mo’ me te magno». Ed è brava Camila, a rinvenire velocissima da dietro, come Tortu negli ultimi metri della staffetta olimpica, quando Halep sembra avere la vittoria in tasca. Le cancella il servizio del 5-4 con quattro sberle a un dito dalle righe, poi quello del 6-5 e costringe Simona al tre break. Lì gioca bene fino al tre pari, poi soccombe ai pensieri, che sono tornati a ricordarle come Halep sappia giocare anche a batti muro, interpretando (benissimo) il ruolo del muro. Così fa la rumena, e Camila si spazientisce, si precipita furiosa sulla pallina, colpisce per tramortire l’avversaria, non per ottenere il punto. Ma non le prende. La palla, e nemmeno l’avversaria. Finisce qui. Peccato, però. Camila è tra le poche che divertono. Forse non sa essere la ragazza che ha voglia di divertirsi, ma ci riesce con chi la sta a guardare. E non è poco.

Daniele Azzolini

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