Ci sono cose difficili da capire. Una è questa: perché Berrettini riesce a prendere sul serio Taro Daniel solo per una parte dei loro match? Un’altra: una palla chiamata fuori, può essere giudicata in contumacia, dopo che il giudice ha già dettato il punteggio? Altre ancora… Perché Auger Aliassime non vince più un match da quando si fa allenare dallo zio più famoso del tennis? È vero che Seppi e Federer si allenano insieme solo quando non ne possono più di parlare inglese? E infine, chi gliel’ha fatto fare a Le Figaro di lanciarsi nel grande sondaggio a premi sulle possibilità dei tennisti di casa di vincere il titolo?
Partiamo da Seppi, eroe di giornata. Anzi, meglio, “Seppi held des tages”. Proprio così, in tedesco. Lingua praticata assai poco nel circuito persino ai tempi di Boris e Steffi, e oggi scivolata in fondo alla classifica, se non addirittura in serie B dopo l’avvento degli italiani.
Ma Andreas e Roger non vogliono rinunciarvi del tutto, e hanno stabilito una serie di appuntamenti fissi per allenarsi in tedesco, nella doppia interazione: si allenano parlando esclusivamente in tedesco e si allenano a parlare tedesco. Com’è successo due giorni fa, con buona soddisfazione di entrambi.
Ora, si sa, il nostro tennista di montagna, trasferitosi in pianta stabile in Colorado, sta messo peggio di Federer, che pure viene da due operazioni al ginocchio e da una vacanza di quasi due anni. Ha un serio problema all’anca, che cura (o forse dribbla) con poderose iniezioni – un tempo semestrali, oggi più ravvicinate – che lo obbligano a un finale di carriera al ritmo sincopato dei ritiri seguiti dai ritorni. A 37 anni e 3 mesi, però, si sente ancora tennista, e lo dimostra appena può, addirittura con gaia improntitudine se gli capita a tiro uno dei ragazzetti più rampanti. Tipo Felix Auger-Aliassime, per dire.
Lo sapete: il giovane vede bene, ma l’anziano sa dove guardare… Seppi ha impiegato dieci secondi per capire che il dritto di Felix, venti anni, viaggia a velocità da formula uno, ma è inguidabile. Affidabilità zero. Basta titillarlo, stimolarlo per il verso giusto, e il resto lo fa da sé, avviandosi verso angoli sempre più remoti e nascosti. Ne è sortito un match di grande strategia, nel quale Seppi ha recitato nella parte del ragno. Ha filato la tela, ha aspettato con eccelso spirito di sopportazione (siamo al primo torneo dopo l’ennesima iniezione), e ha finito per ricordare al canadese togato (viene dal Togo) le sue attuali difficoltà. Da quando si fa allenare da zio Toni, di fatto, Felix non riesce a vincere un match.
Andreas ha comandato gli scambi, non si è risparmiato nelle corse, è giunto al match point con le gambe pesanti come paracarri, e ha segnato la prima vittoria nel Tour di quest’anno. Ma ha giocato un tie break mirabile nel secondo, rimontando da 2-5 e salvando un set point sul 5-6, mentre nel quarto si è tenuto stretto al break ottenuto nei primi game e ha chiuso al primo match point. Tre ore e 33 minuti. Come un ragazzino.
Più semplice il percorso di Berrettini, che però, ancora una volta contro il giapponese Taro Daniel, si è imbambolato di fronte al livello di gioco che stava esprimendo, e se n’è andato dal match. Era successo a Belgrado, è successo di nuovo a Parigi. Qui sul 2-0, raggiunto con un rendimento elevatissimo al servizio. Nel terzo il nostro si è preso una pausa, assai scocciato su una palla giudicata buona, poi data fuori, dopo che l’arbitro aveva comunicato il punteggio. Era il servizio per il 5 pari, lì Matteo ha perso il filo del gioco e del set, che ha ritrovato per sua fortuna in una quarta partita più ansiosa, sebbene giocata nuovamente su ritmi inaccessibili per il povero Daniel. In secondo turno avrà Federico Coria. L’ha già battuto a Roma, un anno fa.
Rasserenante la prova di Cecchinato contro Uchiyama. «Sono arrivato a Parigi 48 ore fa, dalla finale di Parma, giusto il tempo per fare un allenamento e tornare in campo. Ho perso il primo, ma appena ho fatto il break, a inizio del secondo set, mi sono sentito la partita sulla racchetta». Sono sette gli italiani in secondo turno. Record. Come nel 1947 e nel 1955. E tre italiane, Paolini, Giorgi e Trevisan. Dieci in tutto. Record assoluto.
Meglio dei francesi. Erano in 17 al via, coté messieurs, tutti scalpitanti nelle intenzioni, al punto che Le Figaro si è lanciato nel sondaggio, “scriveteci il nome del francese che può vincere il Roland Garros”. Nessuno a occhio e croce. Sono rimasti in tre.
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