Se questi mesi così inquieti, che Fabio ha vissuto alle prese con l’esperienza – assai poco comune per uno sportivo di mestiere – di fare da padre ai figli vestendo insieme i panni del nonno per una torma di nuovi tennisti italiani mai vista prima, che gli sta sottraendo parte del bottino accumulato negli anni, per giunta raggiungendo in breve la classifica e la considerazione che lui non ha avuto in sorte fino a quando non ha sollevato il trofeo di Monte-Carlo, se questi mesi così strambi e ingenerosi lo abbiano spinto a pensare che fosse giunto il momento di farsi da parte e appendere al fatidico chiodo la racchetta e la maglietta, i pantaloncini e il sospensorio, Fabio Fognini dovrebbe avere l’accortezza di farsi dare il filmato del suo match con Marton Fucsovics e rispondere alla domanda, quanti altri sanno giocare come so fare io?
La risposta è talmente semplice che si può tradurre in numeri, 76 61 62. A suo favore, ovviamente. Punteggio con il quale Fabio sale al terzo turno per la nona volta in tredici partecipazioni nel torneo alla Porte d’Auteuil.
Che non significa vincerlo tredici volte, per quello ci sono Nadal e la meritatissima statua di tre metri che gli ha restituito i capelli ondulati della gioventù, ma dite… Sbagliamo a sostenere che pochi altri sarebbero stati capaci di fare altrettanto, e che basterebbe questo a proporre Fabio per un’ideale top ten su terra rossa degli ultimi due decenni?
Ha in uggia, Fognini, a quanto risulta, il tennis smodato di questi anni, quello da due colpi e via. Lo trova innaturale. Peggio, lo ritiene poco tennistico. Non ci sono scambi, che nel tennis equivalgono alle quattro chiacchiere che servono per inquadrare una persona, per intuire di che pasta sia fatta, e nel gioco di una volta offrivano preziose informazioni sui lati più deboli, del carattere e dei colpi. Se il tennis è un gioco mentale, si chiede Fabio, non è parte integrante di esso capire chi ci sta di fronte, e come fare per metterlo in difficoltà? Teme, Fognini, che queste pratiche possano avviare il suo amato tennis verso una china irreversibile, quella della noia più profonda, la stessa che gli capita di provare quando si trova ad affrontare giocatori di stampo simile.
Va meglio con i tipi come Fucsovics, l’ungherese appena battuto, che magari amerebbero moltissimo – in cuor loro – avere in dote quella doppietta “servizio-dritto” in grado di sparigliare le carte su qualsiasi tavolo da gioco. E invece Marton, bell’atleta e cocciutissimo oppositore, rientra con più agio nel genere “coriaceo avversario”, proprio il tipo di giocatore che uno come Fabio si diverte a manovrare come una marionetta.
È stato complicato il primo set, però, e non solo per il punteggio. C’era un po’ di frenesia, si avvertiva la voglia di prendere in fretta il comando del gioco. Qualche errore di troppo. Qualche nastro buono per l’italiano… Uno in avvio del tie break. Niente di decisivo, ma un discreto viatico per intascare un primo set abbastanza ruvido di suo.
C’è un nastro anche per l’inaugurazione della seconda frazione. Giunge sulla terza palla break e offre a Fabio l’occasione per innalzare il gioco a livelli che l’ungherese non solo non conosce, ma, ahilui, nemmeno comprende. Dritto incrociato e lungo linea di Fognini appaiono in quel momento tirati con racchetta e compasso, pura opera di ingegneria tennistica. Il primo spinge Marton in tribuna, il secondo lo vede rincorrere la palla come si fa con l’autobus della mattina, quando ti sei alzato tardi.
È un tennis di alta concezione, quello di Fabio. Armonico nei colpi base come pochi sono in grado di proporre. E se il nostro ha le sue ragioni a prendersela con la stirpe dei giganti che spara “tramvate”, converrà che se lui stesso avesse avuto in dote una prima più potente e ficcante, sarebbe stato fisso in Top Ten per un lustro almeno. Intanto, anche il terzo set prende forma definitiva: break nel primo e nel quinto gioco. Fucsovics ringrazia per la lezione. «Avverto dentro di me il bisogno di fare qualcosa di buono», assicura Fognini, «mi sono detto, dai, provaci, perché no… In fondo, mi sento bene, e questo è lo Slam che preferisco, quello che più degli altri mi fa sognare. Non è mai facile vincere in tre set. Ora ho il tempo di riposare e pensare al prossimo avversario».
Federico Delbonis, l’argentino. Incontrato sette volte e battuto cinque. Una anche a Parigi, nel 2019. In attesa dei sei italiani in gara oggi (Berrettini-Coria, Sinner-Mager, Cecchinato-De Minaur, Seppi-Kwon, Musetti-Nishioka), Fognini prepara la sua missione.
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