Quando molti di noi non erano ancora nati, Eugenio Scalfari ironizzò in un suo editoriale sull’allora neonata (lei sì) “Repubblica” scrivendo che “Berlinguer non è la Madonna”, in un tentativo di stemperare il culto che si era creato attorno al leader sardo del Partito Comunista Italiano. Anche “il più amato” poteva sbagliare. Non era perfetto, insomma.
Ecco, in questi giorni mi è capitato di pensare che quella sorta di culto religioso quasi inspiegabile si fosse impossessato di molti colleghi, oltre che dei tifosi, parlando di Sinner.
Ora, un tifoso ci sta, si può esaltare, si deve esaltare anzi. Ed è giusto che lo faccia anche chi di tennis magari non ne capisce una beneamata cippa e si è emozionato (giustamente) vedendo questo nemmeno 20enne fare un qualcosa che in Italia non si era mai visto.
Perché, e questo si è vero, dentro i confini del Belpaese uno come Jannik è un inedito . Non tanto (non solo) per la qualità del suo gioco (ci arriveremo più avanti), ma per le capacità mentali, per quel dono, perché è un dono, di capire quando vincere.
La mia amica Rossana Capobianco ha ragione in molte cose, e anche stavolta a mio avviso ha colpito nel segno dicendo che questo ragazzo sa quando si deve dare quel colpetto di acceleratore per vincere la partita, e questa è una cosa che hanno dentro i campioni.
Detto questo, chi è dell’ambiente non deve (dovrebbe) essere tifoso, e se lo è sbaglia. Lasciatevelo dire da uno che ha vissuto tante volte questo errore sulla propria pelle. Questo perché con le sue opinioni, considerazioni e quant’altro, il tifo può generare confusione. E la confusione può dare forma a una slavina molto, molto pericolosa.
Perché sì, è giusto esaltare ed è giusto sottolineare quanto di grande stia facendo questo ragazzo, ma non esiste scrivere certe cose e far passare il messaggio che sta facendo qualcosa che non è mai stato fatto in passato in questo sport, semplicemente perché non è vero. È una bugia. Di Sinner in passato ce ne sono stati, tanti, alla sua stessa età più forti o al suo stesso livello.
Senza scomodare i fenomenali Big Three e nemmeno Andy Murray, non volendo andare troppo lontano nel tempo (per intenderci, ai Becker che a 17 anni vincevano Wimbledon o a Borg campione a Parigi a 18 anni), Félix Auger-Aliassime a poco più di 19 anni era già in top 20.
E il canadese è un giocatore ancora giovanissimo che dopo l’exploit dì avvio sembra essersi un po’ fermato, perché gli è mancato quel qualcosa in più (ovviamente, nel suo caso, giudizio sospeso e in attesa).
Alexandr Zverev a 20 anni vinse due Masters 1000 (a Roma prese letteralmente a pallate Djokovic in finale), ora arranca anche lui, sebbene su una poltrona di lusso, in Top Class (ad avercene).
Dunque, chi scrive che quello che sta facendo Sinner, che la testa che ha Sinner, “non si erano mai visti”, mente sapendo di mentire.
Ammesso che non parli a livello nazionale, e allora sì in quel caso potrebbe avere ragione.
I molti coach privati da una parte e la Fit dall’altra, hanno svolto un ottimo lavoro sui giovani, perché non può essere un caso tutto questo ben di Dio messosi in mostra quasi contemporaneamente: una nidiata di talenti dalle straordinarie potenzialità (Sinner, Musetti, Zeppieri, Nardi), non dimenticando il buon Berrettini che sembra un po’ in disparte ma non ha nemmeno 25 anni. E 10 azzurri nei primi 100 è veramente un risultato straordinario.
Tocca ora agli altri – appassionati, circoli, anche i giornalisti – capire che a tutti questi giovani va dato il tempo di crescere, di maturare, di perdere e di sbagliare.
Perché se passa il messaggio, continuo, del “grazie lo stesso” quando arriva una sconfitta e frasi come “vabbè, ha perso ma ha imparato” (come è successo anche dopo la sconfitta in finale a Miami), non va bene. Non va per niente bene.
Sennò il tennis, l’ambiente, diventa come quello del calcio, criticatissimo, dove bastano 3 gol in croce per diventare un fenomeno, e dove si parla sempre di “puntare sui giovani” malgrado non lo faccia nessuno.
Come diceva Brad Pitt in quello straordinario film che è “L’arte di vincere”, quando vedi un giovane puoi anche sbalorditi e dire “quando lo so lo so, e con lui lo so”, ma la verità è che non lo sai. Nessuno lo sa.
E partire subito in quarta paragonando ogni giovane emergente a Federer, Nadal e Djokovic, non va bene. Non va bene per niente.
Metti pressione inutilmente e magari poi inconsciamente davvero si convince che beh, sì, perchè no, certo che sono Federer. E non è invece così facile. E questo vale per Sinner come per tutti gli altri.
E allora, invece di sottolineare sempre e continuamente i grandissimi pregi di Sinner, magari ogni tanto si potrebbe dire che qualche difetto lo ha pure lui.
Tira forte, fortissimo, e spesso questo basta perché ha tutti i colpi potenti, un timing sulla palla sbalorditivo e soprattutto, colpendo benissimo sia di dritto sia di rovescio, si apre splendidamente il campo e colpisce sul lato libero dall’avversario.
Quando questo però non gli riesce (e capita), il piano B tende a tardare ad arrivare. Lo salva che ha una grande testa (e questo nel tennis conta tantissimo, lo sappiamo), ma quando gli variano il gioco e soprattutto trovano delle giuste contromisure al suo, diventano dolori.
Non è un caso infatti, per chi vi scrive, che a batterlo (nemmeno con troppe difficoltà, siamo sinceri) in finale sia stato Hurkacz, che di Sinner è compagno di doppio a amico e quindi ha avuto modo di vederlo ripetutamente in azione.
Il polacco a un certo punto ha capito come giocare contro Sinner, ha rischiato nel primo set semplicemente perché è un buon giocatore e non un fenomeno e Jannik è certamente superiore a lui, ma poi è andato relativamente liscio fino alla vittoria.
Niente di gravissimo, a quell’età, avere dei difetti e non avere il piano B. L’importante è riconoscerlo e saperlo. E chi gestisce Sinner e anche lui, sa di dover migliorare in molte cose. Il punto, ecco, è che non sempre la cosa è così automatica e semplice.
Altra cosa: Miami quest’anno è è stato un 1000 piuttosto azzoppato. Se per arrivare in finale il meglio che hai da battere sono Khachanov e Bautista Agut (che al contrario di quello che si è letto in questi giorni, non erano diventati di botto Safin e Ferrer), essendo un prospetto di fenomeno come Sinner, hai fatto solo il tuo (e Jannik lo sa, e l’ha sottolineato: gli ultras un pò meno).
Applausi a questo futuro campione, e diciamo evviva: se quello che dobbiamo sopportare per avere uno come lui è l’esaltazione e il tifo “mainstream”, armiamoci di pazienza, ce ne faremo una ragione.
Sinner vincerà, sarà un top 5 e alzerà qualcosa di importante. Ricordando sempre, però, che nemmeno Jannik, almeno per ora, è la Madonna. O, visto che siamo a Pasqua, Gesù risorto.
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