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Swiatek o Podoroska, Kenin o Kvitova: chi in finale al Roland Garros?

Iga Swiatek contro Nadia Podoroska, Sofia Kenin contro Petra Kvitova. Le semifinali del Roland Garros offrono un mix tra campionesse Slam ed esordienti ai piani così alti di un major rivelando già come le giocatrici che sabato si affronteranno per il titolo avranno da una parte l’esperienza di aver già assaporato quei momenti (Kenin o Kvitova) e dall’altra possibili emozioni e sensazioni mai provate (Swiatek e Podoroska).

Tra l’altro, sia Swiatek che Podoroska non hanno ancora titoli WTA in carriera, sebbene il dato non sempre ha grande rilevanza visto come Aljona Ostapenko riuscì a condurre la finale del 2017. Semmai, proprio loro due, sono giocatrici che hanno creato le maggiori sorprese assieme a Martina Trevisan di una parte alta di tabellone che da subito avevamo descritto come molto debole mentre Kvitova e Kenin, in qualche modo, potevano essere incluse nella lista delle possibili giocatrici capaci di spingersi fin qui.

Come siamo arrivati fin qui?

La parte alta aveva come teste di serie nelle prime 10: Simona Halep (n.1), Elina Svitolina (n.3), Kiki Bertens (n.5), Serena Williams (n.8), Johanna Konta (n.9), Victoria Azarenka (n.10). Già qui c’erano problemi ben evidenti fin dalle prime uscite. Se sulla carta sembrava la sezione più “carica” di nomi, nella realtà dei fatti l’olandese non è mai stata bene fisicamente o comunque ben lontana dalla sua condizione migliore. La ricordiamo su terra imporsi contro le migliori ed esprimere il suo miglior gioco, qui a Parigi quest anno stava per essere eliminata al primo turno contro Katarina Zavatska, al secondo è arrivata quella partita tremenda contro Sara Errani. Le sue quotazioni per arrivare alla seconda settimana erano crollate da subito, e purtroppo c’è da mangiarsi le mani se Sara non sia riuscita a capitalizzare quel match point perché l’occasione era clamorosa, come poi invece ha ben fatto Trevisan.

Svitolina, come Bertens, ha pagato (anche) lo scarsissimo lasso di tempo per arrivare a Parigi da quando ha rimesso piede in campo. Sette mesi di pausa per due giocatrici che hanno dimostrato di dover giocare a lungo per entrare in condizione, ed essere subito messe di fronte a uno Slam con tutti gli standard che comporta, ha significato scarsa fiducia, scarsa condizione e un livello di gioco non adatto tanto che l’ucraina già al secondo turno subiva un netto 6-0 da Zarazua nel sandwich tra due set vinti. Poco brillante, ha finito per impantanarsi anche lei sulla terra così pesante di quest anno in un quarto di finale che rappresenta purtroppo una delusione enorme: da numero 3 del seeding, e con la sua grande esperienza nei tornei sul rosso (è pur sempre bi-campionessa a Roma) aveva l’obbligo di fare meglio contro Podoroska, lasciando invece la n.131 del mondo dominare il campo e il gioco in una sfida che ha messo Elina di fronte ai suoi problemi: alla grande chance di fare finale in uno Slam, si è presentata completamente tesa e incapace di cambiare le cose.

Serena dopo un esordio molto balbettante ha gettato la spugna a causa di problemi al tendine d’Achille emersi nel terzo set della semifinale dello US Open contro Victoria Azarenka, la bielorussa ha pagato in una giornata completamente storta tutta la stanchezza dell’ultimo mese e mezzo facendo riemergere i problemi cronici che ha sul rosso nel far scorrere la palla e colpire appoggiandosi alla forza avversaria. Konta a Parigi non ha mai avuto gloria al di là dello scorso anno in cui ha vinto le prime, e uniche, 5 partite della sua carriera né quest anno ha veramente dimostrato di avere fiammate del rendimento che tra maggio e luglio l’aveva riportata dai margini della top-50 a dentro la top-20.

Chi forse ha deluso le aspettative, conoscendone la bravura e la capacità di approfittare di questi vuoti di potere nelle sezioni dei tabelloni, è Elise Mertens. La belga è un’ottima giocatrice che non avrà forse la potenza e picchi massimi delle prime 10 ma è dannatamente costante, ordinata, con grande feeling sul rosso e quando vede strada libera sul suo percorso è solita andare molto avanti. Stavolta invece è stata fermata al terzo turno contro Caroline Garcia, che tra secondo e terzo set del 1-6 6-4 7-5 ha avuto sprazzi di ottimo gioco ma incartandosi nel finale. Al sesto match point, tutti col servizio a disposizione, è comunque riuscita ad aggiudicarsi il match salvo poi crollare 6-1 6-3 al quarto turno.

Halep, paradossalmente, era quella che meglio si stava comportando. Apparsa in crescita nei primi turni, approdata facilmente agli ottavi dopo il comodo 6-0 6-1 contro Amanda Anisimova per cui la morte del padre purtroppo è un dolore irreparabile e continuo visto che era stato il filo conduttore tra lei e il tennis. La rumena ha vissuto da spettatrice la sfida contro Swiatek che quel giorno mostrò qualcosa di strepitoso. La miglior partita della polacca nella sua giovanissima carriera coincisa con la più pesante sconfitta sul rosso della rumena in un grande torneo da Roma 2013, il torneo che la rivelò al mondo del tennis.

La parte bassa era da subito più livellata perché mancavano vere favorite della superficie tra le varie teste di serie se non, magari, Garbine Muguruza, bloccatasi però sul 3-0 e palla del 4-0 nel terzo set del terzo turno contro Danielle Collins, riproponendo una tipologia di sconfitta a cui ci aveva purtroppo abituato negli anni precedenti quando di colpo va in affanno, si blocca nel gioco e comincia a fare tutto di fretta finendo per crollare.

Di altri nomi possibili per le fasi finali poteva esserci Petra Martic, viste le sue qualità sul rosso, ma contro di lei si è messa Laura Siegemund. Diversamente, era tutto da scoprire: Karolina Pliskova non aveva recuperato dai problemi a Roma e già all’esordio era tutt’altro che convincente contro Mayar Sherif e lì si è aperta la possibilità per Petra Kvitova, comunque un’incognita a seconda del giorno (come il recupero da 1-5 e set point contro Leylah Fernandez al terzo turno). Nel quarto appena sopra, invece, bisognava andare un po’ a tentativi perché Sofia Kenin non stava brillando, ma le varie combinazioni le hanno dato modo di avanzare senza troppi impegni probanti tranne forse quello contro Fiona Ferro, a un certo punto apparsa come vera outsider per le belle prestazioni.

A questo punto è lecito chiedersi, in uno scenario così poco chiaro, chi sarebbero le favorite alla finale. La prima semifinale tra Swiatek e Podoroska ha nella polacca la chiara favorita, sulla carta, anche perché l’argentina è arrivata fin qui partendo dalle qualificazioni (solo la terza a riuscirci nell’Era Open, la prima da Alexandra Stevenson a Wimbledon nel 1999) mentre la seconda vede Kvitova avanti 2-0 nei confronti diretti.

Perché Swiatek?

La giovanissima polacca fin qui è stata un treno. Soltanto Su Wei Hsieh è riuscita a spingersi fino a 4 game vinti in un set. Halep, grande favorita alla vittoria finale, e Marketa Vondrousova finalista un anno fa, hanno raccolto 3 game. È in semifinale anche in doppio dove ugualmente non ha perso set per strada. È lanciatissima e sta dando seguito al grande interesse che in Polonia c’è verso di lei, che si scontra un po’ con una personalità molto gentile, educata e molto timida di una ragazzina che indossa sempre il cappellino che quasi le copre il volto e impedisce agli occhi di avere reale contatto col mondo attorno a lei.

Iga sul rosso si esprime tanto bene. È la sua superficie, dove ha raggiunto fin qui anche la prima e unica finale WTA della carriera (Lugano 2019) e che le ha dato le soddisfazioni maggiori come il primo ottavo di finale a livello Slam. Ha un tennis di attacco con dettagli che sul rosso si sposano tanto bene: dritto molto carico, servizio vario, buona mano e disinvoltura nei pressi della rete. Contro Halep ha tirato fuori anche quello che non aveva, calando un po’ contro Trevisan nei quarti di finale nel rapporto vincenti/errori gratuiti, ma quella contro Martina potrebbe essere la giusta prova per approcciare al meglio la gara odierna visto che anche lì aveva tutti gli obblighi di vittoria essendo contro una qualificata e lei proveniva da una vittoria così scintillante.

Perché Podoroska?

Onestamente: perché un numero così capita una volta ogni 20 anni. Qualificata, con pochissime aspettative e attenzioni e ora con la chance di andare a giocare per il titolo. Podoroska farà un salto quadruplo dopo questo Slam, comunque vada oggi, e per lei cambieranno tante cose. È la prima semifinalista argentina dai primi anni 2000 quando c’erano Clarissa Fernandez (qui, nel 2002) e Paula Suarez (a Wimbledon nel 2004) ed è una spinta importante per un movimento argentino che al femminile era in crisi dall’addio di Gisela Dulko.

Nella miglior tradizione locale, lei ha un tennis da “terraiola” pura. Un dritto molto arrotato, un colpo che è una frustata, e un rovescio che paga qualcosa soprattutto in un tennis femminile dove spesso quello è il colpo base e con standard alti (sono poche quelle che hanno nel dritto il fondamentale dominante), con buon tocco in drop e tentativi continui di aprirsi gli angoli soprattutto sul lato del dritto.

Si era qualificata al primo Slam in carriera nel 2016 allo US Open, superando anche Donna Vekic nelle qualificazioni. Stava entrando nelle prime 150 del mondo con una buona crescita che doveva portarla in top-100 ma arrivò la rottura del polso e tanti mesi fuori. Ha ricominciato praticamente da zero, come ranking e come gioco, e piano piano è riuscita a risalire. Quest anno è 49-6 in 55 partite ufficiali. Nessuna ha giocato come lei, e da 255 WTA a gennaio ora sarà sicuramente in top-50.

Perché Kenin?

Ha già vinto uno Slam in stagione, che non fa mai male in termini di fiducia. Ha subito un 6-0 6-0 a Roma contro Azarenka ma ha saputo rialzare la testa pur senza brillare. Una botta così ha scorie difficili da cancellare in una notte o una settimana, ma Sofia qui ha fatto abbastanza bene. Un livello generale ancora non letale ed eccelso come a Melbourne ma ha ritrovato buona combattività e una smorzata che tanto l’ha tolta dagli impacci. Soprattutto però c’è un rovescio che in cinque partite fin qui le ha dato oltre 100 vincenti: aiutandoci con la matematica, sono oltre 20 di media a partita solo con quel colpo.

Passa sempre molto inosservata, e se ha qualche riflettore addosso normalmente è per un dettaglio negativo, ma probabilmente ora è più da apprezzarne la resilienza e questo suo innato spirito che potrebbe riproporre oggi una sfida, contro Kvitova, dove è capace di mettere pressione in maniera asfissiante con scambi molto lunghi e dove cercherà di aprire il campo o tenere lontana Petra dalla linea di fondo.

Perché Kvitova?

Onestamente: sarebbe da film. La sua vita, la sua carriera, la sua storia personale meritano qualunque genere di riconoscimento. Sono già un po’ di giorni che si mostra molto emozionata e vicina alle lacrime dopo le sue vittorie, ricordando che qui, su questi campi, ritornava a giocare dopo l’agguato in casa a fine 2016. E sentiva, dentro di sé, che quanto sta facendo ora è completamente inusuale per lei perché non ha ancora perso un set ed è tornata tra le migliori 4 al Roland Garros per la prima volta dal 2012.

Allora c’erano, assieme a lei, Maria Sharapova, Samantha Stosur e Sara Errani. Adesso sono tutte pressoché alla pari e ci sono chance per la ceca di fare qualcosa di incredibile come già sarebbe approdare all’ultimo atto di un torneo che non le ha mai dato enormi soddisfazioni. Ieri contro Laura Siegemund ha giocato probabilmente la miglior partita del suo torneo ed era talmente concentrata che, come rivelava poche ore dopo sui social, non ha fatto caso che sui suoi vestiti c’era ancora l’etichetta della lavanderia del torneo. Lei ci rideva sopra, ma forse è il miglior segnale per dire quanto sia “in the zone” fin qui.

Oggi si gioca per decidere le finaliste. La posta in palio cresce. Ci sono due favorite, ma è anche vero che con queste protagoniste fare pronostici è molto complicato: da una parte due che hanno l’occasione enorme di fare la storia dei propri paesi (la Polonia attende una finalista Slam da Agnieszka Radwanska, unica capace di spingersi così in alto; l’Argentina addirittura da Gabriela Sabatini), dall’altra due più esperte ma che comunque sanno come la situazione potrebbe girare da un momento all’altro.

Diego Barbiani

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