La parola del Direttore

Date tempo a Sinner e nel frattempo divertiamoci

C’è tutta l’Italia di De Gregori. Quasi tutta… Manca l’Italia del pubblico, e non è poco, ma chissà se avrebbe aggiunto qualcosa di buono, di utile. Nuovi slanci appassionati, improvvisi impulsi a dare di più, esortazioni, incitamenti, stimoli. Chissà. È una domanda che gira, in questi giorni di conteggi da record. Otto italiani in secondo turno nel torneo degli italiani. Tre già agli ottavi, due ai saluti (Caruso e Cecchinato) e oggi vanno in campo Fognini, Musetti e Sonego. Dite, si era mai vista tanta abbondanza? Ma l’altra Italia c’è tutta, ed è quella della canzone. L’Italia del valzer, che incanta e volteggia. E l’Italia del caffè, che si concede una pausa, ma è sveglia e vigile. C’è l’Italia che lavora, qualche volta derubata, qualche altra colpita al cuore. E di lavoro ne è stato fatto tanto, da quando accademie e coach hanno avuto i sostegni che era giusto attribuire loro, e danno corpo a un unico motore, finalmente in marcia tutti nella stessa direzione.

È l’Italia di Sinner, che non c’era fino a due anni fa. O meglio, c’era ma nessuno ne parlava, perché i ragazzi vanno condotti per mano sui blocchi di partenza, prima di dare loro il via. Senza squilli e annunci conditi di troppe speranze. A 19 anni Semola è l’esempio più chiaro di questa spinta che è
diventata trascinante. Scovato da Sartori, consegnato a Piatti, cresciuto in un’università del tennis con cinque o sei professori a disposizione. Oggi JS, mozzo di montagna, rappresenta un insieme unico, che integra con naturalezza due anime distinte, rendendole entrambe tennistiche. Evoca i brividi di un discesista e li permea delle riflessioni pacate che solo il mare può regalare, quando lo osservi di sera, sulla spiaggia, sempre uguale e sempre diverso. Proprio come il tennis. Ma non come tutti i campioni che prima o poi tocca affrontare.

Non come Tsitsipas, che diverso da se stesso proprio non riesce a essere. Conosce uno spartito, e lo mette in pratica. Viene da dodici mesi di cemento, che sono tanti, e non si rende conto che i suoi movimenti sono accorciati, non hanno la rotondità che il rosso meriterebbe.
Sinner, dicevamo… Lui se ne accorge subito, e non solo perché il greco gli regala o quasi i primi cinque game. Se ne accorge perché è naturalmente portato a pensare, valutare, a cercare soluzioni. E allora si chiede che cosa fare, come approfittarne. Decide di non rinunciare alle percussioni, ma di alternarle a giocate più alte, o più strette. Muove il match, insomma, e l’altro è costretto a bere l’amaro calice, prima di scuotersi e ritrovare un friccico di lucidità. Sul 6-1 3-1 non è ancora tardi per recuperare una partita che Semola ha instradato a modo suo, e infatti Tsitsi recupera il break subito in avvio del secondo set, ne ottiene addirittura un altro, e va a servire per il 7-5, ma lo restituisce, perché è giornata di pessimi umori e non è facile essere numero 6 del mondo e scoprire che il ragazzino che sta 66 posizioni più in giù, più giovane di tre anni, non è meno bravo di lui. Si va al tie break, e il greco alla fine lo strappa dalla racchetta di JS, ma il seguito non è quello immaginato. Il bimbo rosso torna a fare tutto bene, come se nulla fosse. Non soffre di ansie, non ancora quantomeno. Libera il braccio e mette in pratica i suoi propositi. Se c’è da resistere, crea in un battibaleno una testuggine tennistica sulla quale tutto rimbalza, se può colpire lo fa verso gli angoli, sulle righe, tirando forte. No, ma quale forte… Tirando fortissimo.
Ha ragione Piatti. Dategli ancora qualche anno. Ma la fretta di dire che avremo presto un altro top ten è tanta.
Tratteniamola. Intanto, Semola i top ten li batte. Goffin il primo, a Rotterdam. Un set strappato a Medvedev a Marsiglia. Poi a Roma il numero 29 Paire e il numero 6 Tsitsipas. Indicazioni preziose. Grigor Dimitrov, in terzo turno, ne offrirà di nuove, altrettanto pregiate.

«Il gruppo ha la sua funzione», ci ragiona su Matteo Berrettini. «Le spinte giuste vengono da tutto l’ambiente. Io sono qui perché volevo essere come Fabio, come Andreas. Forse oggi qualcuno prenderà spunto da me. Non lo so, ma sono felice che il gruppo Italia si sia messo in cammino». La sua vittoria, ieri, era scontata. Ma la ruggine di oltre un anno lontano dalla terra (l’ultimo match a Parigi 2019) si è fatta sentire. Dieci game senza riuscire a scrollarsi di dosso Coria, prima di vincere per distacco. Buona prova, ma servirà di più nel derby che si annuncia. C’è Stefano Travaglia agli ottavi,
Steto per tutti. Ha rintuzzato e spento tutti i tentativi di infiammare il match portati avanti da Coric, che sul rosso non è avversario facile. Vittoria inaspettata, ma bella due volte. Perché impegnativa, e combattuta. E perché alla fine logica. «Ho giocato meglio, me la sono meritata. Ora sono pronto per Berrettini». Un derby per i quarti. Tutto made in Italy.

Daniele Azzolini

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