Esiste una data, addirittura un’ora precisa.
Sto parlando dell’arco temporale in cui bisogna andare a cercare le prove.
Djokovic ha un alibi inattaccabile. Quel pomeriggio, a quell’ora, batteva Federer nella finale di Wimbledon.
Eppure…
È stato in quel momento che ha perso definitivamente la guerra.
Penso di essere un testimone attendibile. Mi sono pubblicamente schierato dalla sua parte, imbarazzato dal fatto che la folla, paradossalmente, non avesse riconosciuto al vincitore neppure il ruolo di antagonista. Ho assistito a un tifo imbarazzante, con il popolo di Wimbledon che urlava al mondo come l’unico soggetto di quella partita fosse Federer, a prescindere dal risultato.
È stato in quel momento che anche chi era schierato dalla parte di Novak, ha capito l’ineluttabile verità. Il serbo avrebbe potuto continuare a vincere altre cento partite, gridare di essere il migliore di tutti, mettere assieme più Slam dello svizzero senza per questo cambiare l’ordine delle cose. Sarebbe restato comunque un fenomeno relativo rispetto all’assoluto di Roger.
Perché Federer è fuoriclasse per definizione. Non gli servono confronti con il passato, riferimenti al presente, analisi delle superfici e conteggio delle vittorie per essere definito tale. Lui ha fascino, carisma, personalità, empatia. Oltre al fatto che possiede uno stile antico e moderno allo stesso tempo, che è un rivoluzionario anche adesso che è vicino ai quaranta. Ma non minimizziamo, qui non siamo davanti a un problema tecnico, la storia ha sfaccettature diverse.
Roger Federer è e resterà l’assoluto, un giocatore che non ha bisogno di altri per legittimare la sua dimensione. Assoluta, appunto.
Novak Djokovic sembra destinato a incarnare il ruolo del campione relativo, di un fuoriclasse che per essere sentito come tale necessita di confronti continui. Con l’epoca che lo ha visto protagonista, con i rivali, con la vita. È ancorato a una realtà in perenne evoluzione, deve adattarsi ogni volta se vuole conservare quello status.
È un grandissimo giocatore, non penso diventerà un mito.
Uno è l’assoluto, l’altro è relativo.
Il 14 luglio 2019 questo assunto è diventato palese agli occhi di tutti.
Mi sono entusiasmato per la prova del serbo, ci sono rimasto male quando è stato trattato da estraneo a corte. Credo ci sia rimasto male anche lui.
Ne ho letto i segnali quando, per evidenziare il disappunto, ha festeggiato solo con il clan e la famiglia. Stizzito per essere semplicemente ammirato, indispettito per non essere riuscito a farsi amare dalla quasi totalità degli spettatori.
Questa insoddisfazione di fondo probabilmente continua a vivere nella sua anima, così come deve essere rimasta sullo stomaco anche alla famiglia.
È di fine aprile l’intervista di mamma Dijana al giornale svizzero, di lingua tedesca, Blick.
“Federer ein bisschen arrogant ist.”
Federer è un po’ arrogante.
Forse Roger lo era un tempo, quando era un bambino, al limite un adolescente. È diventato uomo imparando a gestire e a volte mascherare le emozioni. È questa la colpa di cui può essere accusato, non certo l’arroganza.
La signora Djokovic è andata oltre.
“Novak glaubt auch an Gott, er fühlt sich auserwählt.”
Novak crede in Dio, si sente scelto.
Qui sconfiniamo.
Sento in quelle parole la voce di Elwood, interpretato magistralmente da Dan Aykroyd, nei Blues Brothers.
“Siamo in missione per conto di Dio.”
Ma quello era un film.
Poi Nole ci ha messo il carico da novanta.
In piena pandemia, mentre miliardi di persone sognano un vaccino che riesca a frenare, se non a sconfiggere il Covid-19, lui su Facebook, parlando con un gruppo di tennisti serbi, rilascia una dichiarazione tradotta e diffusa nel mondo dall’agenzia di stampa Reuters.
“Personalmente sono contrario alle vaccinazioni e non vorrei essere costretto da qualcuno a prendere il vaccino per poter viaggiare. Cosa farò se diventerà obbligatorio? Dovrò prendere una decisione. Ho le mie idee a riguardo. Non so se cambieranno, a quel punto.”
Successivamente si è sentito in dovere di precisare che non è contrario a qualsiasi vaccino, ma ha dei dubbi su questo. Un breve comunicato del suo gruppo al New York Times è stato il mezzo usato per spiegarsi.
“Non sono un esperto, ma voglio avere un’opzione per scegliere ciò che è meglio per il mio corpo. Mantengo la mente aperta e continuerò a fare ricerche su questo argomento perché è importante e influenzerà tutti noi. A essere sincero, proprio come il resto del mondo, sono un po’ confuso. Nonostante abbia accesso a informazioni e risorse, rimango in dubbio su quale potrebbe essere la cosa migliore da fare.”
Il Guardian, prestigioso quotidiano inglese, ha commentato quelle frasi.
“L’epidemia di coronavirus ha sottolineato quale importanza e influenza possano avere su molte persone le decisioni e le parole di personaggi importanti. Djokovic è una persona famosa in tutto il mondo, opporsi alle vaccinazioni comporta un pericolo enorme.“
Ogni parola di un personaggio così popolare (6,9 milioni di amici su Facebook; 8,7 milioni di followers su Twitter; 7,3 su Instagram) ha potenzialmente un impatto devastante.
Nole ha combattuto il Covid-19 con azioni generose: 1,1 milioni di euro per aiutare le autorità serbe a comprare respiratori e altro materiale medico; una donazione importante anche a un ospedale di Bergamo per aiutare i sanitari in prima linea.
Ma sia nella frase di Facebook, che nella precisazione sul New York Times, ha giocato una battaglia che non possiamo sentire nostra.
Siamo con la scienza, con chi ha spiegato come e perché i no-vax siano dalla parte sbagliata.
Lui ne ha fatto prima una questione di principio, per poi manifestare dei dubbi. E nei giorni scorsi ha continuato a gestire la situazione in modo controverso.
“Non andrò agli US Open in condizioni che ritengo estreme. Non credo sia ragionevole.”
Poi durante l’Adria Tour, a Belgrado, ha stretto mani, si è lanciato nella calca, ha ballato a torso nudo in discoteca, non ha rispettato né distanza sociale, né l’uso delle mascherine.
“Non spetta a me valutare cosa sia giusto dal punto di vista della salute. Stiamo semplicemente seguendo le regole del governo serbo.”
Una doppia chiave di lettura sullo stesso tema. La pandemia è una, ogni governo decide di gestirla come meglio crede. Perché rispettare l’autonomia delle scelte in un Paese e rigettarla in un altro?
Credo ciò che dico, faccio ciò che credo.
(Victor Hugo)
Non è facile.
Nole se ne era accorto tempo fa, parlo del 2018.
“Ho pianto per tre giorni dopo l’intervento al gomito. Tutte le volte in cui pensavo a ciò che avevo fatto, mi sentivo come se avessi fallito. Avevo provato a evitare di finire su quel tavolo perché non sono un fan delle operazioni chirurgiche. Cerco sempre di essere più naturale possibile, e credo che i nostri corpi siano dei meccanismi autosussistenti. Non volevo neanche mettermi nella situazione di dovermi sottoporre a un altro intervento. Ma penso fosse una mossa che dovevo fare” (intervista al Telegraph).
In assoluto contrario alla medicina ufficiale, favorevole relativamente alle circostanze.
Della partita conclusiva di Wimbledon 2019 ne parleremo per sempre, soprattutto perché entrambi i finalisti l’hanno giocata su livelli spaziali. Purtroppo non ho sentito nessuno fare il nome di Djokovic come soggetto predominante, è stato sempre messo in subordine a Roger Federer. Gli spettatori del Centrale con il loro comportamento hanno inconsciamente scritto un trattato sull’assoluto che non ha bisogno di confronti per esaltare la realtà della sua posizione, e allo stesso tempo hanno definito il relativo come un uomo che necessità di continue basi su cui poggiare la sua figura di campione.
A loro non è importato una ceppa che quella partita il serbo l’abbia vinta. Così arroganti, loro sì, nello spalleggiare Roger da farmi pensare che pretendessero addirittura le scuse da Nole. Colpevole di lesa maestà.
È sempre e comunque una questione di assoluto e relativo.
Come lo è sul piano della comunicazione.
Prendo spunto da quest’ultima considerazione per avventurarmi in una chiusura giocosa.
Sorridente, pronto allo scherzo Djokovic. Apparentemente musone, poco disposto a dare confidenza in pubblico Andy Murray. Eppure, il 17 aprile scorso, dopo avere ascoltato per oltre un’ora la loro conversazione su Instragram, la battuta che mi è rimasta nella testa è stata dello scozzese.
Murray: Quali sono le cose che fai appena ti svegli ogni mattina?
Djokovic: Una preghiera di gratitudine, due profondi respiri, abbraccio mia moglie se è ancora a letto, corro verso i miei figli.
Murray: Troppe cose. Io faccio la pipì e do da mangiare al mio cane.
In assoluto Murray non mi fa certo ridere, relativamente a questa conversazione mi è sembrato decisamente simpatico.
Fine delle trasmissioni.
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