Viso estasiato, atteggiamento di chi sta camminando dentro a un grande luna park, sorriso di chi ha appena fatto strike e vinto un mega lecca-lecca. La foto di Coco Gauff a Linz, col trofeo in mano a forma, proprio, di lecca-lecca è significativa una volta di più di come il 2019 stia radicalmente cambiando le carte in tavola nella WTA.
Una ragazzina di poco più di di 15 anni, del 2004, che si impone alle prime esperienze assolute tra le professioniste non è cosa normale, eppure il titolo in Austria ha fatto seguito agli ottavi a Wimbledon e al terzo turno dello US Open, due giganti che dicono molto di più in termini di importanza, malgrado poi Linz potrebbe rappresentare per lei il vero punto di partenza.
Sono tantissimi i discorsi, le ipotesi, i pensieri che si potrebbero fare e non aver mai accennato al termine “favola” lungo tutta la settimana pur seguendo l’avvicendarsi di un cammino vissuto (a onor del vero) anche con la fortuna delle prime fasi è forse la dimostrazione di come sia riuscita, Gauff, a rendere tutto una logica conseguenza di quanto di buono messo in campo. Ed è forse il complimento migliore per chi dovrebbe ancora adesso farsi le ossa in altri terreni.
Abbiamo davanti un prototipi di fenomeno che impressiona a livello fisico, offre sensazione di grande bilanciamento e controllo, sembra quantomai solida senza arrivare a rischi eccessivi. Nello scomodo gioco dei paragoni il suo modo di essere in campo, la mobilità e il bilanciamento sono molto vicini alla miglior versione di Sloane Stephens, la regolarista intercambiabile tra difesa e attacco che potrebbe scambiare a lungo senza concedere punti gratuiti o, perché no, a una primissima Venus Williams. La testa, però, è di ben altro livello rispetto alla campionessa dello US Open 2017. Un problema che si sta notando anche adesso, riguardo a Sloane, è la scarsa capacità di rimanere concentrata nel lungo periodo, alle volte dando l’impressione di accendersi solo quando arrivava nelle fasi conclusive dei tornei, che potrebbe anche spiegare come mai sia riuscita a vincere le prime 6 finali giocate nel circuito maggiore.
Gauff ha superato vari momenti potenzialmente delicati, non ultimo un set decisivo in finale dominato malgrado un netto 6-1 appena subito contro una Alona Ostapenko divenuta improvvisamente molto ispirata. Una gestione dei momenti importante aiutata anche dal padre Corey, fondamentale quando l’ha tranquillizzata sul 5-2 nel terzo set. E questo, adesso, sarà quanto di cui avrà maggiormente bisogno: una luce, una guida, una persona che abbia la testa sulle spalle e non veda in lei solo una fonte di guadagno. La storia del tennis femminile ha visto tante giocatrici in grado di trovare i primi lampi in un’età così giovane. Non è inusuale anche malgrado le regole che impediscano alle ragazzine di giocare più di un certo numero di eventi, limitando la loro presenza in campo per evitare un sovraccarico più di stress che di gioco. Dovrà essere probabilmente questo l’obiettivo più importante per Gauff: avere la possibilità di crescere, sbagliare e fare esperienza senza l’assillo di dover vincere a tutti i costi. Il mondo attuale e l’environment attorno a cui è già circondata, invece, sembra già svalicare i confini di una quindicenne.
TANTI ELOGI, TANTE ATTENZIONI
Nella sua sfera orbita una figura piuttosto importante come Patrick Mouratoglou che attira molta attenzione tra la sua attività per l’accademia dove Gauff si è spesso allenata e, soprattutto, come coach di Serena Williams, ormai troppo spesso affibbiata a Coco. E “The Coach” già lo scorso anno, durante il Roland Garros, si lamentava del fatto che la “age eligibility rule” (AER da adesso in avanti) fosse un grave errore nei confronti della sua giocatrice. Quest anno, poi, il clamore è aumentato quando a Wimbledon si è qualificata ed è stata sorteggiata contro Venus Williams. Proprio Mouratoglou, quel giorno, disse che non poteva presentarsi nel box di Gauff perché sarebbe stato per lui una mancanza di rispetto verso Venus, che ormai considera come famiglia. Un clamore che le è piombato addosso fin da quando nel 2017 raggiungeva a 13 anni e mezzo la finale dello US Open junior. Tecnicamente non poteva neppure partecipare, ma la USTA come spesso accade si è presa una deroga, fattore ripetutosi poi quest anno quando non avrebbe potuto giocare nel tabellone principale di Flushing Meadows con un invito ma dagli uffici federali hanno spinto perché si superasse per lei il limite di wild-card imposto in un anno (3) e dalla WTA, sostanzialmente, hanno fatto finta di nulla dicendo che essendo lo Slam sotto egidia dell’ITF l’ultima parola spettava a loro.
Lei, nel frattempo, vive nel mondo dell’adolescente di oggi, del 2019, dell’era super tecnologizzata, delle dirette Instagram e dei social super connessi con ogni lato del mondo. Ne ha fatta una anche dopo la vittoria a Linz, con quel sorriso che sembra non togliersi mai dal volto e uno sguardo abbastanza spensierato, quasi ignara di un mondo fatto di squali. Di vigliacchi. Di scommettitori furiosi e di gente pronta ad augurare la morte di cancro e di vedere la propria famiglia rovinarsi. Purtroppo è tutto fuorché un caso limitato a pochi, e ormai non fa più notizia: forse l’aspetto più grave. Al di là di questo, fa ancora rumore che la Barilla l’abbia messa sotto contratto a cifre esagerate: 1 milione di dollari all’anno di sponsorizzazione fin da prima che entrasse in top-300. È poi parte del Team8, l’agenzia di management di Roger Federer e Tony Godsick, e allo US Open c’erano 15 persone presenti nel suo box allo US Open tutti con una t-shirt bianca e stampato lo slogan del suo brand: “Call me Coco!”. Gli interessi aumentano, la speranza per lei è che tutti possano essere lì per fare il suo bene e non per dei tornaconto personali.
GAUFF NON È UN UNICUM NELLA WTA
Gauff dovrà reggere l’urto e confermarsi nel lunghissimo periodo con un circo di sensazionalismo ormai partito. E casi simili nella WTA ce ne sono stati fin dalla sua fondazione, con una percentuale magari scesa negli ultimi anni anche grazie alla AER, ma dove raramente si è vista un’attenzione così. I casi più recenti (e parliamo solo di tenniste tra i 15 e i 16 anni) sono molto significativi: Donna Vekic, Tamira Paszek, CiCi Bellis e, se vogliamo, Marta Kostyuk. Ragazze che facevano ottimi risultati, anche senza titoli vinti, e che poi sono crollate tra aspettative, pressioni e alcune per gravi problemi fisici. La croata si sta ritrovando ora e ogni tanto fa riferimento a quei momenti di grandi difficoltà dopo la finale del 2012 a Tashkent. L’ucraina, addirittura, quest anno ha deciso di staccare col tennis per 3 mesi dopo non aver confermato il terzo turno all’Australian Open del 2018 e prendersi tutto il tempo per ripartire. Aveva vissuto nella scorsa stagione dei mesi fantastici pur magari non giocando sempre al meglio, ma i problemi alla spalla hanno rovinato la seconda metà del 2018 fino a portarla a gennaio con gran parte del suo ranking da difendere e senza la possibilità di sbagliare. Lo ha fatto, ed è crollata.
Scendendo un po’ più indietro nel tempo c’era Michelle Larcher de Brito, portoghese in top-100 a 16 anni appena compiuti e bloccatasi nel momento in cui i risultati non stavano arrivando, con un brutto infortunio al polso che di fatto le ha chiuso la carriera. Ora fa la maestra in un circolo tennis in Florida, dove si era trasferita (scuola Bollettieri) all’età di 9 anni, prima ancora gestiva un rifugio per gli animali abbandonati. Con lei, in quel periodo, c’erano anche Nicole Vaidisova e Tatiana Golovin. La ceca forse è stata tra le migliori enfant prodige, capace di essere numero 7 del mondo a 17 anni, di passare a 15 anni dal non avere ranking (gennaio) a 72 del mondo (ottobre), portatrice di un dritto devastante ma “bruciatasi” già a 20 anni. Percorso uguale per la francese e Michaella Krajicek, entrambe afflitte da una marea di problemi con Golovin costretta al ritiro nel 2009 e l’olandese che ha continuato a girovagare dentro e fuori dal circuito.
L’esaltazione c’è e non potrebbe essere altrimenti, fa tutto parte di un momento in cui la WTA sta radicalmente cambiando pelle. Quest anno su 54 tornei giocati soltanto uno è finito a una giocatrice nata negli anni ’80: Auckland, in cui vinse Julia Goerges. Il confronto è abissale: 11 i titoli vinti nel 2017 e 2018, 31 quelli nel 2016. E l’età media è crollata in ogni settore, dalle vincitrici Slam all’età delle giocatrici in vetta al ranking. Il prossimo lunedì Ashleigh Barty sarà numero 1 (23 anni ad aprile), Naomi Osaka numero 3 (22 anni il 16 ottobre) e Bianca Andreescu numero 4 (19 anni il 16 giugno). C’è una nuova generazione che si sta imponendo, con 9 grandi titoli vinti nel 2019 su 13 giocati e lei, Gauff, è addirittura del gruppo successivo, di quella che in teoria dovrebbe arrivare tra qualche anno ma che già, con Amanda Anisimova in semifinale a Parigi o la stessa Kostyuk che si sta riprendendo abbastanza bene, ha dimostrato di avere numeri importanti.
Maria Sharapova è forse il caso di maggior successo negli ultimi 25 anni di una carriera nata così presto (a 16 anni) e poi durata nel corso del tempo malgrado, anche, i diversi infortuni gravi. Martina Hingis è quella che ha avuto il rendimento migliore, ma in un momento in cui il tennis era molto diverso da quello attuale. La testimonianza di questo è che al di là del quasi Grande Slam nel 1997 si è imposta “solo” a Melbourne. Qui si ricollega tutto, o quasi, al dominio portato nel tour dalle Williams con i primi successi proprio tra 1998 e 1999: la forza fisica, la potenza atletica e le indubbie qualità tennistiche hanno dato loro un vantaggio enorme rispetto a tutte le altre e la stessa Hingis, bravissima e inappuntabile, non ha trovato le contromisure perdendo il tempo e l’anticipo sulla palla, indietreggiando e faticando sempre più nel contrastare una nuova filosofia di gioco che avrebbe poi dato luogo a un cambio radicale nel modo di vivere e di allenarsi delle tenniste che si sono succedute, sempre alla ricerca di nuovi metodi per colmare il gap. Qualcuna ci riuscì, come per esempio Kim Clijsters e Justine Henin, ma era per lo più qualcosa riservato alle poche elette divenute parte delle pagine più importanti della storia del tennis del 2000.
GAUFF, SERVE CRESCERE E FARE ESPERIENZE CON GRANDE TRANQUILLITÀ
Gauff è annunciata come qualcuna che può avere un percorso simile se non proprio cambiare il modo di giocare come ci sono riuscite le Williams. Bisognerebbe forse abbassare i toni perché ancora la ragazzina non ha quella superiorità tecnica così evidente e il fattore fisico, per quanto possa essere raffinato e perfezionato, da solo potrebbe non bastare. Andrà incontro a una generazione (quella indicativamente di giocatrici nate tra il 1996 e il 2000) già composta di protagoniste e di caratteri distintivi che le hanno portate in alto, bruciando il confronto con quella precedente (91/95) in cui le maggiori esponenti in termini di costanza (Simona Halep, Elina Svitolina e Karolina Pliskova) sono arrivate lassù solo tra i 22 e i 23 anni.
Bisognerebbe tenere a mente, più che il titolo a Linz, quello che è successo per esempio a New York. Talmente ricoperta di attenzioni e popolarità che dopo la vittoria in rimonta contro Anastasia Potapova gli organizzatori le hanno dato libertà di scelta per il campo in cui giocare al secondo turno, opzione che a malapena viene data ai big “veri” di entrambi i tabelloni. E dopo la pesante sconfitta contro Naomi Osaka, con 25.000 persone presenti sull’Arthur Ashe solo per lei in un match prime time della sessione serale, voleva correre a piangere nello spogliatoio. Ora forse si può capire ancor di più come mai la giapponese le la fermò per farle dire due parole al pubblico: non c’era voglia di umiliarla, o fare la finta carina, ma di spingerla ad affrontare il momento e a capire che non c’è nulla di male in tutto ciò che sta facendo. Ha 15 anni, ha appena cominciato a scrivere la sua storia. “Call me Coco” è pure azzeccato, ma ogni tanto bisogna anche fermarsi e capire che adesso serve la giusta misura delle cose e fare molta attenzione a una crescita che deve essere gestita con cura e lungimiranza.
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