Riavvolgiamo indietro l’orologio al torneo di Wimbledon. Le prime 10 teste di serie del tabellone di singolare eliminate entro il quarto turno: uno scandalo, per alcuni; una “sorpresona”, per altri. Poi c’era una piccola parte che cercava di far capire come molte di quelle uscite non dovevano destare necessariamente scalpore, perché per esempio Sloane Stephens malgrado la testa di serie numero 4 e la finale a Parigi non ha mai ottenuto granché su erba e giocava contro una che invece ha raccolto diverse finali seppur nei tornei inferiori, Donna Vekic.
Che il punteggio finale sia stato 6-3 6-1, o 6-3 6-4, non cambia le carte in tavola: era Vekic, malgrado la non testa di serie, la vera favorita di quell’incontro, fattore poi confermato a Tokyo a settembre, quando si ripetè sempre all’esordio. Garbine Muguruza, da top-10 e campionessa in carica, ha perso al secondo turno contro Alison van Uytvanck: quanto fu sorprendente? Poco.
È vero che la spagnola solo un anno fa raggiungeva la prima posizione mondiale, ma seguendo i suoi risultati anche prima del successo ai Championships era facile individuare indizi che portassero a quell’epilogo. Da Wimbledon 2017 in poi non ha mai espresso un livello di gioco abbastanza alto da poterla rivedere nelle fasi finali dei grandi tornei. Raggiunse la semifinale a Parigi 3 settimane prima, ma giocò male all’esordio contro Svetlana Kuznetsova, poi ebbe due turni piuttosto agevoli e un ritiro in suo favore agli ottavi. Nei quarti, il big match contro Maria Sharapova fu un 6-1 6-2 dove incise molto l’incapacità della russa di muoversi su un terreno paludoso e pesante. Si manteneva in top-10 perché oltre la metà dei suoi punti in quel momento erano tutti tra il Roland Garros e lo US Open 2017.
Esempi che spiegano come in questa fase il tennis femminile abbia bisogno di molta più contestualizzazione del solito. Petra Kvitova, data per grande favorita a Wimbledon, si arrese al primo turno nell’upset forse più importante dell’anno, contro Aliaksandra Sasnovich. L’errore vero per lei fu il voler giocare a Eastbourne la settimana prima quando già aveva fastidio al tendine del ginocchio. Diverse volte, nel match contro la bielorussa, lei era con le mani sulla parte dolorante. Avete trovato nulla nelle dichiarazioni post gara? No. La ceca, in carriera, non ha mai preso un alibi per una sconfitta. Mai. E sì che ne avrebbe, anche di inattaccabili. Anche Simona Halep, malgrado sia numero 1 del mondo, ha pagato una settimana non perfetta perdendo al terzo turno contro Su Wei Hsieh, che al contrario ha vissuto uno spettacolare 2018 dove è partita al numero 144 e oggi è in top-30. Agnieszka Radwanska e Muguruza hanno perso contro di lei a Melbourne, Angelique Kerber ha visto l’inferno per quasi due set sempre all’Australian Open, Karolina Pliskova la batté solo al tie-break del terzo a Miami. Non troverete tennista più anacronistica della taiwanese, e nessuna ai vertici è abituata a una bimane da ambo i lati e capace di giochi di prestigio grazie a una sensibilità fuori dal comune.
UNA PRIMA FILA ALLARGATA
La top-10 è stata malamente criticata e alcuni non si sono neppure accorti che la vincitrice, Kerber, fosse in realtà numero 10 del mondo. Malgrado tutto questo vociare e battute fuori luogo in semifinale sono arrivate: una 23-volte campionessa Slam, una bi-campionessa Slam, la miglior giovane (almeno fino a quel momento) come risultati nei tornei pesanti e vincitrice del Roland Garros un anno prima, e una tra le migliori degli ultimi 12 mesi. In finale, la riedizione della sfida che valeva il titolo nel 2016, il terzo Kerber-Williams che assegnava un trofeo Major. È stata comunque di alto (se non altissimo) profilo. È qui che nasce il ragionamento: quanto incide la “profondità” del parco giocatrici odierno? cosa porta, per esempio, Goerges a essere numero 14 pur avendo una semifinale Slam mentre Pliskova è numero 8 con addirittura 1400 punti in più pur non avendo avuto quel risultato?
Da Halep a Qiang Wang, dalla numero 1 alla 20, ci sono 4500 punti. Tra la cinese e Kerber, numero 2, appena 3400, che scendono a 2800 tra lei e Kvitova, numero 7. Non abbiamo una dittatura, e questo porta per forza a scenari diversi. Per comprendere meglio certe dinamiche, bisognerebbe per prima cosa dimenticarsi delle teste di serie come veri ruoli di forza. Possono tutt’al più essere un indicatore del momento. Non sempre, però, la regola viene rispettata: Elina Svitolina su erba ha come migliori risultati in una carriera di ormai 6 anni due quarti di finale a ‘s-Hertogenbosch e Birmingham. Nulla. Nel seeding di Wimbledon era numero 5, eppure perse al primo turno contro Tatjana Maria. Sorpresa? No, perché la tedesca ha un gioco molto più efficace su quella superficie, con slice da entrambi i fondamentali, molta più varietà e senso della rete. Oltretutto, veniva da un titolo vinto 10 giorni prima a Maiorca mentre lei aveva tanti dubbi per la testa dopo il brutto scivolone a Parigi e una nuova sconfitta contro Mihaela Buzarnescu a Birmingham.
Timea Bacsinszky qualche anno fa focalizzava già con molta lucidità questa situazione a Indian Wells, spiegando che la differenza tra la top-20 e le altre giocatrici in top-100 è molto ridotta rispetto a prima perché tutte ormai riescono a giocare bene, colpire bene, e nei loro picchi di rendimento possono creare delle sorprese, ma conta molto la capacità di tenere un certo ritmo per più a lungo delle altre, motivo per cui una Wozniacki può perdere contro Ekaterina Makarova al secondo turno a Wimbledon (“sorpresa”… sulla superficie peggiore per Caroline), ma a fine stagione la danese è sempre in top-3 mentre la russa, spesso considerata mina vagante nei tornei, non è neppure tra le prime 50.
EQUILIBRIO E UN LIVELLO MEDIO CHE PUNTA A SALIRE
A oggi il livello medio è molto più alto di anche solo una decina di anni fa e le big attuali non possono creare la spaccatura con il resto del gruppo. Nessuna ha il margine di Serena Williams, quello che le garantisce ancora a 37 anni di poter essere una candidata a vincere titoli, perché nessuna ha avuto un curriculum con qualche aspetto talmente superiore da potersi elevare rispetto alle altre. Lei, assieme a Venus, aveva caratteristiche fuori dal comune come la potenza fisica, e si è creato un dominio. Roger Federer ha dominato tra gli uomini perché ha qualità di gioco oltre l’immaginabile e soltanto Rafael Nadal prima, e Novak Djokovic poi, sono riusciti a raggiungerlo basando però le carriere su un dispendio fisico che ha avuto conseguenze. Halep, come Wozniacki, Kerber, Pliskova, e le giocatrici che si sono alternate ai vertici in questi 2 anni, hanno ottime qualità e stano riuscendo a ricavare il massimo, ma per tutti è fisiologico avere dei cali durante l’anno, o anche durante la stessa settimana, e ora sono chiamate a dover mettere in campo il loro massimo fin dai primi turni. Non è detto che sia possibile in ogni circostanza, ma alla fine i conti tornano. Sempre. Guardiamo la top-20, con una buona analisi per alcune di loro:
1. Simona Halep, 6921 punti: 15 tornei giocati e solo 3 volte sconfitta al primo turno, tutte a fine anno quando iniziavano i problemi fisici. 10 quarti di finale, 8 semifinali (nessuna come lei) e 6 finali (leader anche qui). 6 semifinali nei tornei pesanti, 1 titolo Slam vinto e una finale giocata. C’è del materiale per essere, oltre che la più costante del gruppo, anche la leader vista l’alta percentuale (12 tornei dove ha vinto almeno una partita, in 8 di questi era in semifinale e la metà in grandi occasioni: 66% che diventa 50%).
2. Angelique Kerber, 5875: da gennaio a luglio la tedesca ha raccolto 10 quarti di finale su 12 eventi a cui ha preso parte. Il rendimento era da una delle migliori, malgrado per il ranking normale fosse più indietro (ma partiva da molto più lontano, n.21 a gennaio). La grande costanza le ha dato modo di risalire e la gemma di Wimbledon ha certificato il ruolo di prima antagonista. La vera differenza, rispetto ad Halep, è stata l’accoppiata Montreal-Cincinnati dove la rumena ha ottenuto 1485 punti (una vittoria e una finale) mentre lei ha raccolto appena una vittoria in due settimane.
3. Caroline Wozniacki, 5586: i primi 4 tornei del 2018 sono stati enormemente prolifici. Una finale, un titolo, un quarto di finale, una nuova semifinale. Dopo Doha guidava la Race con 2620 punti, poco meno della metà. Da lì però sono cominciati i problemi di varia natura e la media dei suoi piazzamenti è scesa. Potremmo anche solo aggiungere i 470 della vittoria a Eastbourne (3090), i 1000 del successo a Pechino (4090) e i 500 delle Finals (4590).
4. Elina Svitolina, 5350: ottima costanza nei primi 5 mesi, con 3 titoli tra cui il bel bis a Roma, poi un calo che l’ha portata a una sola semifinale dal Roland Garros in poi (Montreal). Le aspettative sono piuttosto alte e dopo aver dimostrato di essere una delle migliori come rendimento nel circuito, in molti si attendono l’exploit di alto livello. Detto, fatto: malgrado stesse mostrando qualche difficoltà, è riuscita a incastrare i pezzi del proprio puzzle vincendo le ultime WTA Finals a Singapore da imbattuta. Adesso potrà forse vivere più tranquillamente l’ansia da risultato in uno Slam.
5. Naomi Osaka, 5115: avendo pochi punti in uscita dal 2017, ci voleva poco per alzare il rendimento. La giapponese, però, si è superata. Malgrado un periodo di assestamento tra aprile e agosto, dove ha pagato la poca esperienza su terra ed erba capendo su cosa deve migliorare per il futuro, il titolo a Indian Wells e poi allo US Open sono un capitale importantissimo. E rappresentano solo 3000 punti degli oltre 5000 raccolti. Soprattutto, portano in top-5 le quattro vincitrici Slam e la campionessa del Master di fine anno.
Dalla 6 alla 9: Stephens per rendimento nei grandi tornei poteva anche essere più avanti, ma ha perso finali pesanti. Al Roland Garros era 6-3 2-0, a Montreal Halep era sulle corde, alle Finals ancora una volta aveva vinto il primo set. Il rendimento poteva quasi vederla al numero 2 visto che meglio di lei nei grandi appuntamenti ha fatto solo la rumena. Ma certe occasioni non sfruttate, purtroppo, si pagano. Kvitova ha vinto più titoli di tutte e merita un’ottima posizione, ma il rendimento molto negativo negli Slam e alle Finals ha condizionato inevitabilmente la sua stagione. Pliskova è tra quelle che ha giocato di più (23 tornei) per il rush finale per raggiungere le Finals, ma è anche la tennista ad aver giocato più quarti di finale di tutti (12, considerano come dodicesimo il Round Robin passato) e questa grande costanza, malgrado il picco vero che è mancato, le ha permesso di essere davanti a tutto il gruppo dalla 11 alla 18, che vedremo poi. Per Kiki Bertens le 8 eliminazioni al primo turno sono tante, ma l’ottima fase centrale di stagione è un ottimo contraltare. La finale a Madrid (650), con l’aggiunta dei quarti a Wimbledon (430), i quarti a Montreal (430), la vittoria a Cincinnati (900) e poi la semifinale al Master (625) porta con sé più di 3000 punti. Daria Kasatkina completa la top-10 grazie a un 2018 fatto di 3 finali (tra cui quella pesante a Indian Wells) e due quarti Slam consecutivi. Fin qui tutto fila.
L’ANOMALIA
Ora inizia la fase sorprendente: dalla numero 11 (Anastasia Sevastova) alla numero 18 (Garbine Muguruza) abbiamo 6 semifinaliste Slam: Sevastova (US Open), Elise Mertens (n.12, Australian Open), Goerges (n.14, Wimbledon), Serena (n.16, Wimbledon e US Open dove ha giocato le finali), Madison Keys (n.17, Roland Garros e US Open), Muguruza (Roland Garros). Come mai nessuna di loro è nelle 10? Sevastova è appena 200 punti dietro Kasatkina, e paga i primi 6 mesi sottotono. A Mertens è mancato il guizzo nella seconda fase del 2018. Per Goerges ha pesato soprattutto la mancanza di risultati in molti tornei importanti (secondo turno all’Australian Open, terzo a Indian Wells, subito fuori a Miami). Serena ha giocato troppo poco, come Keys che si sta incagliando in una tela di noie fisiche e un gioco che rischia sempre di essere vittima delle contrattaccanti. Sono giocatrici, queste, che hanno avuto qualche picco di risultato, ma non hanno mai fatto jackpot o non hanno avuto la giusta continuità per essere un po’ più in alto seppur magari due semifinali Slam (1560 punti solo così) possono valere più nell’ottica generale di 12 quarti di finale a tutti i livelli. In mezzo a loro, la miglior giovane del gruppo (Aryna Sabalenka) e la vincitrice del torneo di Zhuhai (Ashleigh Barty).
Caroline Garcia, numero 19, ha fatto tanta fatica in stagione pur avendo avuto il salvagente dei 2000 punti tra Tokyo, Wuhan e Pechino che le hanno garantito mesi di presenza fissa in top-10 arrivando fino alla top-5. Il suo rendimento, però, non è mai stato tale, e di fatti nella Race è stata sempre fuori dalle prime 10, scivolando poi ai limiti della top-20. Il risultato che la salva, a oggi, è la semifinale di Madrid. Wang invece, al numero 20, ha avuto un finale di stagione sensazionale.
I DATI: TUTTA LA TOP-20 HA ALMENO UN RISULTATO IMPORTANTE
Guardiamo le semifinali Slam
Australian Open
Halep (numero 1, ora) vs Kerber (numero 2), Wozniacki (numero 3) vs Mertens (numero 12)
Roland Garros
Halep vs Muguruza (numero 18), Stephens (numero 6) vs Keys (numero 17)
Wimbledon
Kerber vs Ostapenko (numero 22), Goerges (numero 14) vs Serena Williams (numero 16)
US Open
Serena Williams vs Sevastova (numero 11), Keys vs Osaka (numero 5)
E ora dei Premier Mandatory
Indian Wells
Osaka vs Halep, Kasatkina (numero 10) vs Venus Williams (numero 40)
Miami
Ostapenko vs Collins (numero 37), Azarenka (numero 51) vs Stephens
Madrid
Kvitova (numero 7) vs Pliskova (numero 8), Bertens (numero 9) vs Garcia (numero 19)
Pechino
Wozniacki vs Wang (numero 20), Sevastova vs Osaka
Diciassette delle attuali top-20 sono in queste due categorie, ben otto hanno raggiunto la finale. Poi vediamo le altre due: WTA Finals
Singapore
Svitolina (numero 6) vs Bertens, Pliskova vs Stephens
e Premier 5
Doha
Wozniacki vs Kvitova, Muguruza vs Halep
Roma
Svitolina vs Kontaveit (numero 21), Halep vs Sharapova (numero 30)
Montreal
Halep vs Barty (numero 15), Stephens vs Svitolina
Cincinnati
Halep vs Sabalenka (numero 13), Kvitova vs Bertens
Wuhan
Sabalenka vs Barty, Wang vs Kontaveit
Non solo abbiamo completato la top-20, ma potremmo anche spingerci fino al numero 22 visto che Ostapenko ha raccolto una finale in un Premier Mandatory e una semifinale Slam, e Kontaveit prima di lei ha una finale in un Premier 5 più un’altra semifinale. Ora è forse impossibile pensare al dominio di una su tante. Dipende dal momento, dallo stato di forma, dalla superficie: nessuna ha saputo realmente concludere la stagione senza cali. Halep ci stava riuscendo, ma dallo US Open in poi è franato tutto e non ha neppure grandi responsabilità. Qualcuna ha avuto il picco di rendimento prima, qualcun altra nella seconda parte; qualcuna ha faticato fuori dal cemento, qualcuna ha avuto grande fortuna nella campagna su terra o su erba; qualcuna ha giocato tanto, qualcun altra ha giocato meno per diversi motivi. Resta il fatto che se vedrete risultati che sembreranno strani, il consiglio è quello di non fermarvi lì ma di provare a capire come mai anche una numero 20 del seeding può vincere un titolo come uno Slam (Osaka a New York) sebbene venga da un paio di sconfitte consecutive. Non è meglio, o peggio, rispetto a quegli anni a inizio del 2000 quando i ruoli di forza erano chiari e ridotti a un gruppo di 4-5 giocatrici. È solo diverso, parte di un altro momento storico.
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