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Storie di rientri mai del tutto completati: si ritirano Schnyder e Jovanovski

In questo 2018 hanno appeso la racchetta al chiodo diverse giocatrici. Per noi italiani si è trattato di dover digerire i ritiri di Roberta Vinci e Francesca Schiavone.

Sono diversi gli annunci pesanti da digerire come quello di Agnieszka Radwanska, ad appena 29 anni, o anche quello di Annika Beck, tennista tedesca classe 1994 e cliente fissa della top-100 da diversi anni dopo il titolo al Roland Garros junior, con anche due successi a livello WTA.

Adesso è la volta di Bojana Jovanovski, nata il 31 dicembre 1991, che dopo 3 anni di gravi infortuni ha deciso per chiudere la sua carriera professionistica con un ranking di 546 del mondo in singolare che non rispecchia le qualità mostrate fino al 2014, quando arrivò a toccare il numero 32 ed era in ascesa, ad appena 23 anni. Dopo un’annata per lei negativa, Jovanovski aveva iniziato il 2016 con forti dolori a entrambe le braccia e alla spalla. Passati i primi tornei dove non riusciva a giocare, è arrivata la diagnosi: rottura dei legamenti in entrambi i polsi e della cartilagine nella spalla destra. Incominciò un calvario fisico durato almeno due anni tra interventi chirurgici. Ci furono complicazioni, il dolore non passava e rischiò di perdere l’uso dell’arto nella vita di tutti i giorni. Ci vollero almeno 7 mesi per tornare a poter fare le minime cose, gesti normali della vita quotidiana di ognuno di noi.

Nel frattempo la serba si è sposata e ha cominciato a studiare psicologia all’università di Belgrado. La vita da universitaria le piaceva, ma col tempo ha ripreso in mano la racchetta e ha cominciato piano piano a progettare il suo rientro avvenuto nel primo turno delle qualificazioni del WTA Premier di San Pietroburgo quest anno, priva di ranking. Qualche torneo minore da aprile in poi, ITF di ultima fascia, e in breve era già al numero 546 del mondo. Allo US Open, dove era entrata nelle qualificazioni grazie a un protect ranking, disse a David Kane, della WTA, che era felice di ritrovarsi di nuovo in un torneo di quel valore. Eppure, tre mesi più tardi, l’annuncio sul proprio profilo Facebook: “Il primo capitolo della mia vita professionale è giunto al termine. La mia carriera di tennista professionista è terminata”. Nelle motivazioni, l’impossibilità ad allenarsi ad alto livello a causa di un corpo che non poteva più tirare come agli inizi di una carriera che si interrompe ancora molto giovane e che le ha regalato due titoli a livello WTA International (Tashkent e Baku) e il quarto turno all’Australian Open 2013 come miglior risultato nei Major.

Un’altra storia di un rientro mai del tutto completato, seppur con sfumature molto diverse da qui, è quello di Patty Schnyder. Top-10 nel decennio scorso, giocatrice molto apprezzata per la sua qualità nel tocco di palla, ha vissuto vicende molto travagliate nella prima carriera e decise per il ritiro nel 2011. Si è rifatta una vita, si è sposata e ha avuto una bambina, poi all’improvviso la decisione di rientrare a 36 anni. Gli obiettivi potevano forse essere diversi, ma non è riuscita ad avvicinare la top-100 e i migliori momenti li ha vissuti quest anno, nella stagione dei suoi 40, affrontando la numero 1 del mondo Simona Halep nell’incontro di Fed Cup tra Svizzera e Romania (ad aprile) e poi a fine agosto, quando riuscì a qualificarsi per lo US Open diventando la più anziana di sempre a raggiungere questo obiettivo. Venne abbinata al primo turno contro Maria Sharapova e riuscì a regalare una partita competitiva con un’incredibile rimonta nel secondo set da 6-2 5-1 per la sua avversaria, che ha poi chiuso soltanto al sesto match point, 8-6 al tie-break.

Diego Barbiani

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