Naomi Osaka e Alona Ostapenko campionesse Slam, Aryna Sabalenka campionessa di un WTA Premier 5 a 20 anni, Belinda Bencic ancor più precoce a 18. Questi sono solo i picchi di una nuova generazione di tenniste che a livello di rendimento stanno tenendo ritmi che non si vedevano da una decina d’anni.
Era infatti dal triennio 2009-2011 che non c’erano risultati paragonabili, e se a livello quantitativo quella generazione era colma di tenniste presenti in top-100 mentre quella attuale è appena al penultimo posto, a livello qualitativo i valori possono anche ribaltarsi completamente portando le tenniste nate dal 1997 al 2000 addirittura al primo posto. Non è banale l’ipotesi, perché tra il 2009 e il 2011 sono emerse tenniste che ancora oggi troviamo nei piani alti della classifica o che possiamo considerare con una bella carriera alle spalle: Caroline Wozniacki, Alizé Cornet e Petra Kvitova nate nel 1990, Victoria Azarenka, Agnieszka Radwanska, Dominika Cibulkova, Timea Bacsinszky, Shuai Zhang, Alisa Kleybanova, Alexandra Dulgheru, Yanina Wickmayer e Lesia Tsurenko nate nel 1989. Tutte giocatrici transitate in top-30, due arrivate al numero 1 del mondo, altre due fermatesi appena al numero 2, sette in tutto quelle che hanno raggiunto la top-10.
10 ANNI DI ALTI E BASSI
L’analisi parte dal ranking di fine anno della stagione 2009 perché segna formalmente l’addio con l’ultima generazione interamente anni ’80 capitanata da Maria Sharapova (classe 1987), che a 21 anni aveva già vinto 3 Slam ed era arrivata al numero 1 del mondo. La russa è l’ultimo vero caso di tennista esplosa quando ancora era minorenne resistendo a lungo ai vertici del ranking WTA. Svetlana Kuznetsova vinse lo US Open 2004 a 19 anni, ma ha avuto più alti e bassi pur rimanendo comunque in top-20 fino a metà 2010.
A fine 2009 c’erano 28 giocatrici under-21 in top-100 (partendo dall’annata 1988), di cui sette in top-30. Le migliori tre erano Wozniacki (19 anni e già n.4), Azarenka (20 anni e n.7) e Radwanska (20 anni e n.10). In quel periodo, le giocatrici nate nel 1988 erano allora le più deboli: nessuna in top-30, solo Carla Suarez Navarro (n.33 a fine 2009) aveva ottenuto un buon risultato in un Major coi quarti di finale al Roland Garros nel 2008.
Sparito il blocco del 1988, nel 2010 le giocatrici under-21 nella top-100 di fine stagione sono scese a 21. Wozniacki (nel frattempo divenuta n.1), Azarenka (n.10) e Radwanska (n.14) guidavano il gruppo, mentre una ventenne Petra Kvitova cominciava a farsi notare concludendo l’anno al n.34. Per il resto, però, quello che differenzia questa situazione da allora è che nel 2010 mancavano le più giovani con buon potenziale dietro di loro: del 1991 c’era solo Anastasia Pavlyuchenkova con qualche risultato di spicco e nessuna dal 1992 in poi. Soltanto una nel 2011 (Sloane Stephens) era in top-100 a fine stagione. Halep, a conti fatti, ha cominciato a progredire “soltanto” a 22 anni e nessuna giocatrice della sua annata (1991) ha raggiunto la top-10 prima di Johanna Konta nel 2016. Sparito il blocco “1989”, a fine 2011, Wozniacki (n.1) e Kvitova (n.2) rimanevano come punte di diamante ma escludendo le giocatrici nate nel 1990 se ne contavano appena 9 più giovani, e nessuna di loro aveva in quel momento quel qualcosa in più per emergere. Da lì al 2014, a conti fatti, la WTA ha vissuto con al massimo una giovane in grado di farsi notare, “mancando” completamente due annate: 2012 e 2013. A livello numerico, ancora una volta, la situazione non era negativa: un quinto della top-100 di fine anno vedeva giocatrici di 21 anni o più giovani. Andando però nel dettaglio, la miglior under-21 nel 2012 fu Christina McHale (20 anni, n.33), poi Stephens (19, n.38) e Halep (21, n.47); nel 2013 Stephens guidava il gruppo finendo la stagione al numero 12, poi Eugenie Bouchard (19 anni, n.32), Madison Keys (18 anni, n.37) ed Elina Svitolina (19, n.40).
Halep, Garbine Muguruza e Svitolina sono emerse a 22 anni già compiuti. Karolina Pliskova a 24. Angelique Kerber, malgrado 3 anni in top-10 prima del 2015, può dire di essere diventata grande nell’anno dei 27. La rumena partì addirittura dal numero 66, nella seconda metà del 2013, entrando in top-10 a inizio 2014 (e non uscendone più). La spagnola ebbe la spinta della finale a Wimbledon (2015), l’ucraina finì il 2016 in top-15 e da allora ha vinto 9 finali WTA consecutive. Quel vuoto generazionale durato circa tre anni è coinciso con stagioni molto particolari. A cavallo tra 2012 e 2013, soprattutto, Serena Williams, Sharapova e Azarenka lottarono alla pari forse per l’unica volta nelle loro carriere: la bielorussa finì il primo anno al numero 1 con oltre 10.000 punti, e a circa 1000 punti di distanza c’era la statunitense, addirittura terza malgrado una seconda parte di stagione da invincibile (titoli a Wimbledon, US Open, Olimpiadi e WTA Finals) e pagava caro lo scarso rendimento dei primi 5 mesi. Tutto bello, tutto avvincente, ma dietro di loro mancava l’orizzonte che potesse indicare i volti nuovi da farsi avanti magari già nella metà del 2013 quando Sharapova uscì dal gruppo per un infortunio maturato a metà stagione e poi fu la volta di Azarenka, tra problemi fisici e un accenno di depressione.
I PRIMI SEGNALI DI UNA RINASCITA
Anche se Bouchard avesse continuato ad avere picchi di rendimento e risultati nei Major, da sola non sarebbe bastata a definirla caposaldo di una generazione o anche solo di un’annata che non stava rendendo come secondo le previsioni. Diverso, invece, il discorso di Belinda Bencic. Della svizzera si diceva un gran bene già dal 2014, ma è nel 2015 che ha raccolto i frutti più importanti. A 18 anni trionfava nel prestigioso Premier 5 di Toronto battendo all’esordio proprio Bouchard e poi quattro top-10 nelle successive 5 partite (Ivanovic, Wozniacki, Serena Williams e Halep, per ritiro, in finale). Seppe spingersi fino al numero 7 del mondo a inizio 2016 e già si stavano notando le qualità importanti delle coetanee.
Ostapenko venne fuori per la prima volta nell’estate del 2015. Alla prima partita in un tabellone Slam (a Wimbledon) diede 6-2 6-0 a Suarez Navarro. Allo US Open altro 6-0 in 18 minuti a Sara Errani prima di cedere per inesperienza al terzo set. Qualche settimana dopo la prima finale WTA in Quebec. Un anno più tardi, la prima finale importante, nel prestigioso Premier 5 di Doha. Daria Kasatkina entrò come lucky loser allo US Open del 2015 e batté Daria Gavrilova e la coetanea Ana Konjuh. Per impostazione di gioco, la russa è diversa da tutte le altre e anche per questo fa un po’ più fatica alle volte, ma è un piacere vederla disinnescare le grandi colpitrici con la sua astuzia e l’ingresso in top-10 a fine 2018 è un piccolo (grande) riconoscimento a un anno di sostanza seppur con qualche difficoltà.
ALCUNI DATI
In due anni, quattro giocatrici nate nel 1997 hanno raggiunto la top-10. Tutte loro entro la stagione dei loro 21 anni. Particolare, questo, che non capitava dall’annata Zina Garrison, Bonnie Gadusek, Bettina Bunge e Claudia Kohde Klisch che raggiunsero il circolo d’élite entro il 1984, nate tutte e 4 nel 1963.
Ostapenko e Osaka sono le prime due campionesse Slam under-21 nate nella stessa annata dai tempi di Sharapova e Ivanovic, entrambe classe 1987. Maria prima del 2009 (prima della stagione dei suoi 22 anni) vinse titoli a Wimbledon (2004), US Open (2006) e Australian Open (2008). Ana, invece, si impose al Roland Garros (2008).
La finale dello scorso anno a Charleston tra Ostapenko e Kasatkina è stata la prima tra teenager nel circuito WTA dal torneo di Linz nel 2009, quando si affrontarono Kvitova e Wickmayer. La finale di quest anno a Indian Wells tra Osaka e Kasatkina è stata la più giovane in un grande torneo dall’Australian Open 2008 tra Sharapova e Ivanovic.
Ostapenko è stata la più giovane a partecipare al Master di fine anno da Wozniacki e Azarenka (entrambe nel 2009). Osaka e Kasatkina sono le prime under-21 a concludere l’anno in top-10 dal 2011 con Wozniacki e Kvitova mentre con Sabalenka al terzo posto (al numero 11 a fine anno, al numero 13 ora) si è ricreato uno scenario che non si vedeva dal 2009 con le prime tre under-21 in top-12.
Sabalenka ha raccolto molti dei suoi attuali 3145 punti in una strepitosa seconda parte di stagione coincisa con l’inizio della stagione su erba. Da ‘s-Hertogenbosch ci sono 41 partite giocate, 2 titoli, e 13 vittorie delle 31 ottenute sono contro top-20, di cui 8 contro top-10 (e sole 2 sconfitte). L’unica, ed è forse un motivo di lode visto come stava giocando la giapponese, a strappare un set a Osaka allo US Open.
GIÀ SI INTRAVEDE iL FUTURO
La finale tra Olga Danilovic e Anastasia Potapova a Mosca, a fine luglio, non solo è stata la prima tra due giocatrici del nuovo millennio (maschi compresi) ma è stata anche la prima tra due minorenni addirittura dal torneo di Tokyo del 2005 tra Tathiana Golovin e Nicole Vaidisova. La serba, a causa di un problema al gomito, non è riuscita a rimanere in top-100 riuscendo a giocare pochissimo negli ultimi due mesi, mentre la coetanea russa ha colto una seconda finale a Tashkent. Una settimana prima, Amanda Anisimova raggiungeva la prima finale nel circuito maggiore a Hiroshima mentre a marzo, prima di rompersi i legamenti della caviglia, batteva 6-2 6-4 Petra Kvitova a Indian Wells per diventare la più giovane (16 anni) agli ottavi del torneo californiano dal 2005.
Marta Kostyuk, prima di accusare un comprensibile calo per la grande costanza dei primi 5 mesi di 2018, era diventata la più giovane al terzo turno di uno Slam dal 1996. Per lei, dopo l’ottimo Australian Open, è arrivato il titolo nel torneo ITF da 60.000 dollari di Burnie, l’importante prova in Fed Cup, poi una trasferta asiatica ancora con ottimi risultati e infine un importante torneo di Stoccarda dove dalle qualificazioni ha sfiorato i quarti di finale, cedendo soltanto 7-5 al terzo set contro Caroline Garcia, allora stabilmente in top-10. Non da meno è stata la connazionale Dayana Yastremska, vincitrice a fine stagione del primo titolo WTA a Hong Kong e poi grande protagonista in Lussemburgo dove ha sfiorato la seconda finale consecutiva. E neppure Dasha Lopatetskaya, oggetto misterioso a inizio anno dell’Ucraina che si presentava in Fed Cup contro l’Australia con una formazione oltre il rimaneggiato e per poco non faceva il colpaccio. L’allieva dell’accademia di Patrick Mouratoglou, classe 2003, ha infilato 16 vittorie nelle prime 16 partite da professionista nel circuito ITF fermandosi solo alla terza semifinale consecutiva. Poi c’è una statunitense che fisicamente vale molto di più dei suoi 14 anni: si chiama Cori “CoCo” Gauff, nata il 13 marzo 2004. Serve già sui 180 chilometri orari e non a caso, nella finale di Fed Cup junior tra gli USA e l’Ucraina, la sfida tra lei e Lopatetskaya (anche lei fisicamente piuttosto costruita per avere appena 14 anni) è stata la più interessante.
Questi sono solo alcuni nomi di quello che avverrà, o che potrebbe avvenire se tutto fila secondo i piani, cosa che non sempre si è avverata. La classe 1998 per esempio sembrava colma di buoni prospetti e Sabalenka, ora numero 1 tra le ventenni, era dietro ad altre come le ungheresi Dalma Galfi e Fanny Stollar. Oggi la prima è scivolata ai margini della top-300, la seconda non è ancora riuscita a entrare in top-100 malgrado buoni colpi. Tra loro c’era anche Tereza Mihalikova, prima campionessa Slam in singolare nella storia della Slovacchia (Australian Open junior 2015) e Anna Kalinskaya, che nel 2016 balzò di 700 posti nel ranking ma ancora oggi non è riuscita a entrare tra le prime 150.
QUANDO LA QUANTITÀ NON INDICA LA QUALITÀ
Le under-21 in top-100, a oggi, sono 14. A livello quantitativo è meglio soltanto al ranking di fine stagione del 2016, che ne vedeva 13. È esattamente la metà rispetto al 2009, e un considerevole -7 rispetto al 2010. Danilovic è l’unica che è entrata e poi ne è uscita, ma dal punto di vista numerico non è un dato che sposta gli equilibri. Fa più effetto invece pensare che queste ragazze hanno già ottenuto quanto l’ultima generazione vincente: soltanto Petra Kvitova aveva vinto uno Slam, ma a 21 anni già compiuti, qui invece siamo già a due (ma la stessa ceca ha colto un trionfo alle WTA Finals nell’ultima chance disponibile, trofeo che qui al momento sta mancato). Quattro successi a testa tra Premier Mandatory e Premier 5 (entrambi sono l’equivalente dei Master 1000 al maschile con la semplice sfumatura, spropositata a livello economico, che le big possono scegliere di saltare uno dei cinque Premier 5 senza subire multe).
Se prendiamo le classifiche di fine stagione dal 2009 al 2018 e confrontiamo i numeri delle under-21 in top-100 viene fuori come dicevamo che il 2018 è stato migliore soltanto al 2016:
Il 2009 ha 28 giocatrici u-21 in top-100 (contando dal 1988)
Il 2014 ha 24 giocatrici u-21 (dal 1993)
Il 2010 ha 21 giocatrici u-21 (dal 1989)
Il 2011 ha 21 giocatrici u-21 (dal 1990)
Il 2012 ha 20 giocatrici u-21 (dal 1991)
Il 2013 ha 20 giocatrici u-21 (dal 1992)
Il 2015 ha 15 giocatrici u-21 (dal 1994)
Il 2017 ha 14 giocatrici u-21 (dal 1996)
Il 2018 ha 14 giocatrici u-21 (dal 1997)
Il 2016 ha 13 giocatrici u-21 (dal 1995)
Prendendo in esame le prime 4 u-21 del ranking la questione si ribalta quasi completamente:
2009: Wozniacki n.4, Azarenka n.7, Radwanska n.10, Wickmayer n.16 (media = 9,25
2010: Wozniacki n.1, Azarenka n.10, Radwanska n.14, Pavlyuchenkova n.21 (media = 11,5)
2018: Osaka n.5, Kasatkina n.10, Sabalenka n.11, Ostapenko n.22 (media = 12)
2011: Wozniacki n.1, Kvitova n.2, Pavlyuchenkova n.16, Hercog n.36 (media = 13,75)
2015: Bencic n.16, Keys n.18, Svitolina n.19, Schmiedlova n.26 (media = 19,5)
2014: Bouchard n.7, Muguruza n.21, Svitolina n.29, Keys n.31 (media = 22)
2017: Ostapenko n.7, Barty n.17, Kasatkina n.24, Konjuh n.44 (media = 23)
2016: Keys n.8, Kasatkina n.27, Putintseva n.34, Osaka n.40 (media = 27,25)
2013: Stephens n.12, Bouchard n.32, Keys n.37, Svitolina n.40 (media = 30,25)
2012: McHale n.33, Pavlyuchenkova n.36, Stephens n.38, Halep n.47 (media = 38,5)
Non sono dati paragonabili ai primi anni 2000, quando fiorivano le generazioni delle Williams (e di Kim Clijsters e Justine Henin) o delle russe (Sharapova in testa), ma con lo sport che progredisce e i ritmi che cambiano, con le carriere che si allungano e un blocco “centrale” di giocatrici molto più preparate di prima (Kerber è forse il miglior esempio di come ora anche chi supera i 25-26 anni possa provare a cambiare radicalmente la propria storia) l’inversione di tendenza del 2018 ha molto di interessante. Rispetto a tante altre situazioni, ognuna di loro sta portando qualcosa di nuovo al gioco dell’ultimo periodo. Che sia meglio o peggio è un giudizio che spetta al campo, ma il servizio di Osaka e Sabalenka è un’arma che tante prima non hanno avuto, così come la capacità di loro due (e Ostapenko) di spaccare le partite col dritto, fondamentale che può fare la differenza nel senso più mortifero del termine. L’intelligenza di Kasatkina rappresenta ora un ideale passaggio di testimone tra lei e la ritirante Agnieszka Radwanska, mentre la frenesia e la meraviglia di fronte al gioco di Alona e la sua facilità di colpire vincenti a raffica è quello che fece innamorare Parigi del suo gioco e della sua sfrontatezza nell’arrivare a un impronosticabile successo due giorni dopo aver spento le 20 candeline. Bencic è rimasta più indietro, anche a causa di tanti infortuni che l’hanno bloccata a quell’inverno del 2016, ma non può essere dimenticata visto che fu la prima. E in tutto questo quasi dimentichiamo che ci sono altre tre giocatrici classe 1998 nelle prime 65 tra cui quella Sofia Kenin che pur anche lei con un gioco senza potenza sa leggere molto bene le situazioni in campo.
Il rovescio della medaglia, in questo caso, è abbastanza semplice: il prossimo anno usciranno dalla categoria under-21 tutte le giocatrici del 1997 e a oggi c’è la sola Sabalenka già nelle posizioni più nobil. Si rischia un nuovo caso simile al passaggio tra 2010 e 2011 quando le under-21 in top-30 a fine stagione passarono da 7 a 3. Sarebbe una nuova similitudine tra i due casi. Ora, però, sembra esserci più fiducia per un presente importante e un futuro che appare avere basi molto interessanti. Non è il caso di scomodare periodi ben più luminosi e sappiamo che nel 1999 le prime 4 del mondo non avevano neppure 20 anni, ma bisogna chiedersi quanto il gioco sia cambiato in 20 anni, anche grazie a due di quelle quattro che guidavano il ranking da teenager: Serena e Venus Williams, che hanno innalzato l’asticella della potenza fisica del tour in maniera esponenziale, costringendo le altre a una lunga e difficile rincorsa. La risposta la affidiamo al papà di Wozniacki, intervenuto alle ultime Finals a Singapore: “È cambiato tutto. In dieci anni è cambiato tutto. Adesso le vincitrici dei tornei sono tante, mentre prima era quasi solo Serena. Lei e la sorella hanno cambiato il tennis femminile. Adesso è più divertente, più tecnico, sono cambiate le racchette, le corde. Questi attrezzi sembrano un po’ delle macchine perfette: prendi una racchetta e tutto funziona. […] In più ora serve lavoro, lavoro, lavoro. Prima potevamo allenarci duramente tre o quattro volte alla settimana. Oggi queste giocatrici si allenano duramente almeno tre volte al giorno”.
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