Altro giro, altra corsa, altra porta in faccia.
Ti esulta davanti anche Philipp Kohlschreiber, uno che quando deve vincere una partita importante, solitamente si tira indietro. Uno che sa fare tutto ma niente troppo bene, uno che il peso non ce l’ha e si adopera in altro modo.
Lo vince lui il derby e Alexander Zverev è costretto ancora una volta ad abbandonare la scena Slam prima della seconda settimana; solo in un’occasione non è successo: al Roland Garros, sulla superficie che predilige -la terra rossa-, quest’anno, quando ha raggiunto i quarti di finale ed è stato poi estromesso dall’amico Thiem.
Nelle scorse settimane il tedesco ha assunto Ivan Lendl, che certamente contribuirà al probabile salto di qualità ma che -ad oggi- ha tanto su cui lavorare.
Il problema del tre su cinque rimane, anche se forse è sopravvalutato: è davvero solo la lunghezza delle partite il problema di Sascha o è legato a qualcos’altro?
La questione forse va vista in un’altra maniera: Zverev ha vinto tre MS1000 su due superfici diverse, è giovane ed è già stato in top 3, stabilmente in top 10 ormai da più di un anno, non è dunque possibile che il suo talento sia un abbaglio o che tutti gli addetti ai lavori che lo ritengono un predestinato da sempre si siano del tutto sbagliati; togliendo di mezzo aggettivi come “fenomeno” o “sicuro dominatore”, più che sulla disabitudine (argomentazione che ormai fa un po’ acqua da tutte le parti) al format tre su cinque, bisogna concentrarsi sulle basi del suo gioco.
Zverev è il prototipo del giocatore moderno: alto, potente, colpi per lo più piatti, bombe che arrivano da fondo campo; un gioco a suo modo monocorde che però, al suo picco di forma e fiducia, può risultare anche devastante. Il problema arriva quando non ci sono le premesse affinché funzioni. Pete Sampras diceva: “Nel corso di una stagione in media hai cinque giorni in cui puoi battere chiunque, cinque in cui puoi perdere da chiunque. Per il resto, devi trovare il modo di vincere”. Questo è quello che manca a Zverev: una soluzione diversa ai problemi da affrontare in campo. Per quanto potente, il suo gioco alla lunga risulta prevedibile e se c’è chi riesce ad arginarlo, iniziano le crisi e gli errori, la sfiducia, quel circolo vizioso che prevede un baratro dal quale è difficile uscire. Non c’è nulla in cui rifugiarsi e in partite più lunghe, al meglio dei cinque set, è più facile accada.
Quali sono gli accorgimenti che Lendl, dunque, dovrà fare?
Prima di tutto convincere il giovane Sascha che la partita la devi vincere tu anche con avversari più deboli, niente è garantito dai tuoi colpi; aggiungere qualche variazione alla quale affidarsi nei momenti di difficoltà: lo slice di rovescio, lavorare più il dritto, una posizione di campo più avanzata, qualche cambiamento in risposta e una posizione corretta a rete.
Se il ceco dovesse riuscire in questo processo -che comunque non si preannuncia breve- allora, dopo Murray, avrà fatto un altro capolavoro.
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