Non si dovrebbe mai smettere di celebrare un campione, un fuoriclasse, un fenomeno come Novak Djokovic. Uno che se fosse esistito in uno sport diverso, probabilmente sarebbe considerato inarrivabile, ineguagliabile in quella disciplina. Dopotutto, in quanti nel proprio campo, nella propria professione, possono dire di aver conquistato di tutto e di più, sopratutto nello sport? Nole lo ha fatto, diventando l’unico nel tennis a vincere qualsiasi cosa si possa vincere. A voler essere “precisetti”, gli manca l’oro olimpico, ma davvero sposta niente sulla bilancia della gloria serba.
Signori, qui stiamo parlando di uno che ha vinto tutti e 9 i “1000” (nessuno come lui), che ha vinto tutti e 4 gli slam e, per gradire, è l’unico ad aver conquistato consecutivamente Wimbledon, Us Open, Australian Open e Roland Garros consecutivamente, tra il 2015 e il 2016: una sorta di grande slam (nessuno ci riusciva dai tempi di Rod Laver) che nemmeno Federer e Nadal sono riusciti a fare.
Ecco, Federer e Nadal. Si torna alle prime righe, al discorso iniziale. Non si dovrebbe mai smettere di celebrare Djokovic, ma a causa di quei due, ogni tanto si dimentica che il serbo ci sta alla grande, nel regno dei cieli, assieme allo svizzero e allo spagnolo.
Ha delle grandi rivalità, aperte, con entrambi, ed è in vantaggio con entrambi (curiosamente di due successi in tutti e due i casi). Eppure, tifosi, addetti ai lavori e anche organizzatori lo snobbano: a Wimbledon ha dovuto chiedere d’imperio di poter giocare sul Centrale, lui che a Londra aveva vinto tre volte (ora quattro). Vai a capire il perchè.
E’ sempre stato così per tutta la sua carriera: per quanto fosse forte, per quanto fosse dominante, c’era sempre l’ombra di Federer e Nadal. Adesso è tornato dopo due anni “di montagne russe”, come dice lui, conditi da problemi tecnici, fisici, mentali, anche di cuore. Ma è tornato, e ora vuole riprendersi quello che gli spetta, il trono del tennis.
A proposito di Federer, sembra che dal pianeta svizzero arrivino segnali di problemi. Di grossi, grossi problemi. A parte l’orribile (per usare parole sue) prestazioni della finale di Cincinnati, con oscenità in risposta e un abnorme quantità di errori non forzati (35 in due set, nemmeno lunghi, son tanti tanti) quello che colpisce (in negativo) è che l’ex numero uno del mondo è sembrato piuttosto abulico, quasi “scazzato”, per tutta la partita. Probabilmente non era al meglio, probabilmente era stanco per le 4 partite in 3 giorni, cosa davvero faticosa per un 37enne, fatto sta è sembrato lontano anni luce dal campo di Cincinnati. Dopotutto, è un grande classico dell’ex numero uno del mondo: quando qualcosa non funziona, se non si “sente” al meglio, tende a deprimersi.
Finale a parte, il problema però sembra un altro: in tutto il 2018 Federer non è mai arrivato ai livelli del 2017, soprattutto quelli dei primi tre mesi d’oro, che gli avevano permesso di vincere in Australia e poi a Indian Wells e Miami.
Quest’anno, dopo aver bissato la vittoria di Melbourne e aver conquistato Rotterdam (torneo giocato solo per ridiventare n.1), è stato un calando continuo, con troppe pause e con la sola vittoria di Stoccarda, dove tra l’altro ha visto le pene dell’inferno praticamente in ogni turno giocato, fino ad arrivare alla disfatta di Wimbledon.
In generale, Federer versione 2018 non ha mai entusiasmato, nemmeno dove ha vinto. Il suo livello si è notevolmente abbassato, e non si vedono segnali di ripresa: a Cincinnati è sì arrivato in finale, ma non ha di certo entusiasmato. Con lo Us Open alle porte, i campanelli d’allarme per lo svizzero, insomma, sembrano veramente assordanti.
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