Anche quest’anno siamo arrivati alla soglia di Wimbledon e ci troviamo a dover ammettere che Federer è l’indubbio favorito del torneo.
Fermi tutti un attimo. Non è che forse abbiamo espresso il concetto col pilota automatico, senza rifletterci? Perché in fondo, diciamocelo, dire che “Federer a Wimbledon è il favorito” è diventato quasi un intercalare, come il “Salute” dopo lo starnuto, una di quelle cose che si fa con la stessa naturalezza con cui si spegne la sveglia la mattina.
Eppure quest’anno la sensazione, e non solo quella, è diversa e forse per la prima volta in tanti anni, darlo per favorito può essere una grande allucinazione. Di sicuro è uno dei favoriti, ma di certo non IL favorito.
Lo dicono i risultati delle ultime due settimane. In primis una forma che invece di andare in crescendo dopo una sicura preparazione mirata per la stagione su erba, dopo Stoccarda è andata nettamente in calando, mostrando un Roger vulnerabile, poco mobile, falloso, nervosissimo. Le prestazioni con Paire, Ebden, Kudla a Halle prima e la sconfitta con Coric poi sono risultate alquanto preoccupanti. Senza dimenticare la dichiarazione “quella con Coric (bravissimo ma non certo Edberg) è forse stata la mia miglior prestazione della settimana”. Verrebbe da dire: “figurati le altre”! E se la migliore prestazione è una partita con il dritto di Gulbis la domenica dopo una sbronza, beh, i federeriani possono anche spegnere la tv.
Lo dice l’annata che al contrario dell’anno scorso pare presentare un Federer che nell’arco di due settimane non regge o arriva in fondo cotto come un tacchino. Basta guardare quanto accaduto all’Australian Open, un torneo dove quest’anno Federer ha avuto un tabellone da ATP di Acapulco e dove ha rischiato seriamente di perdere una finale vinta (e non certo giocata ai livelli del 2017) contro un Cilic il quale si è imbambolato nel momento in cui poteva ammazzare il match. Senza dimenticare la stagione americana, dove è arrivato a un punto dal rivincere Indian Wells salvo poi avere la lingua per terra, come dimostra la prestazione da Bruce Harper mostrata con Kokkinakis a Miami.
Lo dice il fatto che l’erba, come dimostrato dalla finale di Halle, non perdona. Può essere più lenta e “terrosa” degli anni novanta, le palline diverse, ma resta il fatto che in una giornata sì (specialmente al servizio) chiunque può mettere in difficoltà anche il più vincente giocatore su erba della storia. Basta guardare un Coric che centrato e solido ha messo prima alle corde e poi abbattuto un Federer fallosissimo e mai fluido. Certo, il croato avrà anche fatto il match della vita, ma resta il fatto che pur essendo un giocatore capace di fare bene tutto su un campo da tennis, non sappia fare niente veramente benissimo. Eppure ha vinto. Figuriamoci cosa potrebbero fare i Kyrgios, gli Shapovalov, i Djokovic, i Cilic o le mine vaganti come i Raonic, i Muller, gli Stakhovsky, i Lopez allora…
Lo dicono gli avversari diretti, specie i Cilic, che paiono ben più in palla di lui e molto più sicuri dei propri mezzi di un anno fa, senza dimenticare un Nole che, dopo l’oblio trascorso tra guru e Agassi ma più che altro tra i meandri della propria testa, sembra pian piano ritrovare la retta via grazie a Wajda.
Lo dice l’età. Purtroppo molti dimenticano che il maestro ha pur sempre quasi 37 anni. E la fatica è una brutta bestia. Specie quando ci sei scappato per tanto tempo.
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