Aiutateci voi, perché qui gli aggettivi sono finiti da tempo. Fantastica, incredibile, infinita. Tutti termini che ritornano in continuazione quando scriviamo di Petra Kvitova, ragazza di ormai 28 anni di cui da ormai un anno ci riesce realmente difficile parlare dal semplice punto di vista tennistico. Come possiamo commentare un errore di dritto o di rovescio, una soluzione errata, una azzeccata, una perfetta, senza pensare che è un miracolo vero già solo il fatto di riaverla tra noi? È un discorso che non può che esulare dallo sport. C’era chi un anno fa, di questi tempi, era impaziente di capire perché Petra si fosse segnata nell’entry list del Roland Garros: lei diceva di aver scelto Parigi per fissarsi un obiettivo teorico, per vedere se aumentando i carichi di lavoro la mano reagiva bene, ma era tutto molto per aria e le paure si nascondevano dietro ogni angolo, pronti a spuntare fuori alle prime dichiarazioni mal tradotte di persone più o meno vicine a lei.
C’era voglia di riabbracciarla, metaforicamente, da parte di tutto il mondo del tennis. C’era voglia di sentire il cuore che si scaldava già solo immaginandola entrare in campo e applaudirla in ogni istante in cui si riappropriarva della propria vita con quel sorriso mezzo accennato tipico di una ragazza mai particolarmente espansiva, ma estremamente educata, sensibile e sorridente. Come possiamo parlare dei suoi risultati, adesso, quando la sua carriera è stata recuperata con un prodigio della chirurgia moderna? Un anno fa, di questi tempi, a Roma incontravamo Jimmie, il fotografo e gentilissimo amico da cui traiamo le sue bellissime foto per i nostri articoli, il giorno dopo la notizia della mancata wild-card di Maria Sharapova al Roland Garros. Sapendo dei suoi contatti di lavoro con l’agente della russa è nato spontaneo chiedergli se allora il viaggio a Parigi fosse saltato. Non ha risposto, inizialmente, ma gli occhi si sono illuminati. Abbiamo risposto noi: “Petra!”. “Settimana prossima ci sarà il consulto finale, se tutto andrà bene la sua carriera potrà ripartire” aveva detto.
Oggi Kvitova non solo ha ricominciato, ma ha vinto la bellezza di 5 titoli in meno di un anno. L’ultimo, il più pesante, a Madrid. Un Premier Mandatory che ha un sapore veramente speciale, perché Petra ha giocato dando ogni giorno l’impossibile, arrivando alle fasi finali che era molto provata fisicamente, eppure ha mostrato una volontà di vincere spaventosa, desiderosa di arrivare al traguardo anche a costo di portare all’estremo un gioco come il suo, che deve sempre trovare l’equilibrio giusto per non andare fuori giri. Ed era cotta, fidatevi: al di là degli ultimi 2 set di oggi, dove a momenti non si muoveva, già nella semifinale contro Karolina Pliskova si muoveva piuttosto male mentre al secondo turno contro Monica Puig ha giocato abbastanza sotto ritmo e nei quarti ha dovuto ribaltare un set di ritardo, riportando una fasciatura alla coscia destra che l’ha accompagnata fino alla fine.
Sembra normale tutto ciò. Il rendimento in campo, i risultati, i giudizi positivi e negativi di quanto sta facendo. Eppure non lo è, non può esserlo. Passare dall’avere una mano con tutti i tendini lacerati, con le dita completamente aperte dai segni di una lama dopo aver combattuto a mani nude con un pazzo che una mattina ha scelto te perché (e questa forse è la cosa più da brividi) ti conosce, sa chi sei, dove abiti, sai che sei in casa a quell’ora, e si finge controllore del gas per entrare in casa, aggredirti con un coltello e rubarti l’equivalente di 180 euro, a questo rientro. Ci sarebbe stato da piangersi addosso per una vita intera domandandosi come mai, da svegliarsi di notte urlando dalla paura e dagli incubi di rivivere quei momenti in cui si era col coltello alla gola e si è cercato di farsi scudo con la mano nuda. Un contrappasso che ancora non possiamo spiegare a parole ma che non può, nonostante la nostra massima dedizione all’imparzialità, non renderci estremamente felici. Non è tifo, ma è guardare coi nostri occhi un miracolo che si manifesta giorno dopo giorno e sentire da chi lavora con (o per lei) come la pr Katie Spellman che spende parole molto speciali per lei sottolineando che non l’ha mai sentita dire una sola volta che quell’agguato fosse la sua fine, che lei avrebbe fatto di tutto per rientrare.
Enorme fonte di ispirazione per tutti noi, dotata di un animo spaventoso. Per quello che ha passato, per la forza che ha avuto, per la grazia con cui ha affrontato quei momenti e la volontà che ha mostrato nel riprendere piano piano le funzionalità più semplici della mano, cercando di afferrare un bicchiere prima e stringere sempre più una pallina di gomma piuma poi. Non poteva muovere la mano, forse non avrebbe più potuto usarla, adesso stringe nel pugno quella racchetta che non è cambiata né nel peso e né nel bilanciamento e da cui lascia partire i soliti colpi esplosivi, come se nulla sia accaduto. Non ha ancora sensibilità totale in alcune dita, ma in generale siamo tornati a commentare le sue prestazioni come una giocatrice qualunque, e siamo forse troppo severi quando analizziamo una sconfitta e rendiamo forse poco merito, o comunque non abbastanza, quando arriva una vittoria. Probabilmente era questo che lei voleva, visto che per prima aveva scelto di non parlare mai con la stampa dell’argomento riguardante la sua mano. E viene quasi da sorridere, ora che ha intascato il quarto titolo nel 2018 e la trentesima vittoria in stagione (entrambi record, al momento), pensare che davvero ci sia una piccola chance di vederla lottare per il numero 1 con il proseguo della stagione. Sarebbe forse la chiusura di un cerchio da film, uno di quei finali così lieti che non possono non commuovere. Comunque vada, ‘Courage. Belief. Pojd”. Per Petra, e per chiunque di noi possa averne bisogno.
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