La parola del Direttore

Coppa Davis: Italia, non lontani dalla Francia ma lontanissimi dalla Formula Piqué

Dal nostro inviato

Uscire da una Coppa Davis e trovarne un’altra. Può succedere davvero, stavolta, la miccia è accesa e i giochi economici e politici già un bel pezzo avanti. Il dilemma è se cambiare o no la formula della più antica coppa del tennis, dopo 118 anni di onorevole servizio. La decisione verrà presa ad agosto, a Orlando, la città dei balocchi e delle montagne russe. Il piano è da tempo sul tavolo, pronto per il 2019, e ora è tempo di dibattiti fra chi ritiene la proposta una minaccia, e chi invece un’opportunità per scrivere un futuro diverso.

Formula Piqué… Proprio lui, Gerard, il difensore del Barcellona, a capo della Kosmos che ha messo sul piatto (con la giapponese Rakuten) venti milioni di dollari. Diciotto squadre e 15 giorni, si gioca a novembre in sede unica, prima i gironi da tre poi le sfide a eliminazione diretta, dai quarti; due singolari e un doppio, due set su tre… Il tennis ha fretta, l’ITF del presidente David Haggerty è convinta che per riportare i campioni a giocare la Coppa occorra un evento agile, e molti soldi in palio. Djokovic e Nadal sono dalla sua parte, Germania e Russia dall’altra, il capitano degli Stati Uniti Jim Courier dice che una simile innovazione andrebbe applicata anche alla Fed Cup. La chiameranno Formula Shakira?

C’era anche questo, fra i buoni motivi per sbattersi un po’ più del solito e, possibilmente, cadere in piedi, nei tre giorni della disfida di Genova fra Italia e Francia. Quello, umanissimo, di fare un altro giro sulla giostra della Coppa come l’abbiamo sempre conosciuta, cigolante e traballante quanto vi pare ma piena di fascino e di ricordi. E lo abbiamo visto, alla fine il “giro in più”, con tanto di semifinale annessa e connessa, tocca ai cugini. Hanno vinto di tanto se si guarda il punteggio finale (3-1) e il doppio di mezzo (la prova più nera di Bolelli e Fognini, da quando ci danno dentro in Coppa), non hanno vinto di molto se invece ci si concentra sui singolari: Seppi e Fognini avrebbero potuto battere Pouille, e se non lo hanno fatto è perché a volte il tennis prende strade impreviste, mentre Chardy è stato tenuto a bada dal Fogna e, sull’eventuale 2 pari, avrebbe avuto il suo bel daffare a liberarsi di Seppi.

Ma quanto conta tutto questo? Un po’ sì, perché Italia e Francia se la sono giocata, il che, in fondo, è quanto di meglio si poteva sperare da un match con i detentori della Coppa, o se preferite contro una scuola tennistica più salda e prolifera della nostra (la Francia ha sconfinato dalle nostre parti senza Tsonga e Gasquet, tanto per dire e ricordare). Inoltre, c’era in palio una semifinale che per il nostro tennis era pura manna, ed è stato un dispiacere mollare la presa, una sofferenza che si vedeva dipinta nelle occhiaie di Fognini («Mi sarebbe piaciuto giocare ancora una volta in questa Coppa, tanto più in una semifinale… Quella che verrà non so come sarà e non so nemmeno se mi piacerà giocarla») e degli altri.

Ma un po’ no, non conta così tanto quanto è accaduto nella disfida genovese, soprattutto per le valutazioni future che dovranno essere fatte e le decisioni che dovranno essere prese. Intanto, non si sa quale partito o coalizione vincerà a Orlando, nel rendez vous agostano. I campioni sono per la Formula Piqué. I soldi arrivano con la Formula Piqué. E la logica dice che un presidente che voglia cambiare (Haggerty) non si presenta al voto sapendo di essere battuto. Ma nessuno oggi può sapere quali saranno i dispositivi interni della famigerata formula, come avverranno le convocazioni, e quanti tennisti potranno essere convocati.

Per quanto riguarda l’Italia, con una squadra da cento anni in su (30 Fognini, 34 Seppi, 36 Lorenzi), è ovvio che andrà presto favorita una svolta, con l’inserimento in pianta stabile di qualche giovane (Berrettini, su tutti, ma anche Cecchinato, Fabbiano e Travaglia, mentre per i ventiduenni Sonego, Napolitano, Quinzi e Baldi sarà bene aspettare le indicazioni che verranno dai tornei), ma nel momento attuale qualsiasi pianificazione si voglia fare dovrà passare al vaglio del dispositivo finale. «Se obbligheranno i capitani a convocare secondo classifica Atp», spiega Barazzutti, «è probabile che i giovani dovranno aspettare ancora un bel po’. Sarebbe sbagliato, certo, ma non dipenderebbe più da noi».

Di fatto, Italia e Francia è stata una sfida interna all’opposizione. Noi e loro siamo per tenerci l’antica Saladier così com’è, e anche per questo l’idea di restarci dentro ancora un po’, non dispiaceva a nessuno. «Vendono l’anima di un evento storico, mi dispiace mister Davis», ha cinguettato Noah. «Siamo davanti a una sentenza di morte», il parere di Lucas Pouille, numero uno di Francia (e 11 Atp). Disposizioni d’animo battagliere, cui ben si adegua il pensiero degli azzurri. «La sede unica disperde quel calore del tifo che è la parte più bella della Davis», ha detto Seppi a margine delle operazioni di sorteggio. Per poi aggiungere, da prepensionato: «Ma forse io nemmeno ci sarò». E anche Barazzutti c’è andato giù tosto… «La Davis va bene così, stravolgerla significherebbe ammazzarla».

 

Daniele Azzolini

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